La scomparsa. Addio a Krysztof Penderecki: «La musica? Una scelta di libertà»
Il compositore Penderecki in una foto del 2014
È morto oggi a Cracovia all'età di 86 anni Krzysztof Penderecki, compositore polacco di fama mondiale. La notizia è stata data dall'Associazione Ludwig van Beethoven, diretta dalla moglie Elzabieta. "La cultura polacca ha subito oggi una grande perdita" ha dichiarato Piotr Glinski, il ministro della Cultura. Penderecki, di origine armena, è scomparso dopo una lunga malattia.
Riproponiamo l'intervista pubblicata da Avvenire il 20 settembre 2013
Compiere 80 anni può essere faticoso, specie se si è tra i massimi compositori viventi. Krysztof Penderecki raggiungerà il traguardo il 23 novembre prossimo e per l’occasione tutto il mondo ha deciso di festeggiarlo: «In questi mesi ho tenuto concerti in Usa, Cina, Giappone, Corea come anche in Venezuela. Se qualcuno mi chiede se alla mia età penso alla morte rispondo che sono troppo indaffarato per farci caso» racconta scherzando al telefono da Hannover, tra le prove per un concerto.
Da oggi il compositore polacco sarà per tre giorni in Italia dove dirigerà musiche sue e di Dvorák a Ravello, ad Assisi e a Faenza. La prima volta nel nostro Paese però risale agli anni ’50. «All’epoca la Polonia era una terra chiusa: si era privi del passaporto. Lessi su un giornale di un concorso di composizione il cui primo premio era un viaggio all’Ovest, mentre il secondo e il terzo in Paesi dell’area sovietica. Decisi che dovevo vincere a tutti i costi il primo. Partecipai con tre nomi diversi e vinsi tutti e tre i premi. Pensavo di andare a Darmstadt, per prendere parte ai corsi di nuova musica. Ma ricevuto il passaporto cambiai idea e venni in Italia. Vi passai sei settimane, viaggiando in treno in lungo e in largo. Sopravvissi con solo 120 dollari in tasca – ride – mangiando spaghetti, pizza e cioccolato. Il viaggio più affascinante fatto nella mia vita».
Come ha scoperto la musica?
Mio padre, un avvocato, suonava il violino. Quando avevo 5 anni me ne diede uno, piccolo, dicendomi che avrei suonato quello strumento. Allora non c’era modo per dire di no a un padre o a un nonno… Così l’ho fatto. Dopo poco, forse un anno, ho cominciato a comporre. Ho scritto il mio primo pezzo a 6 anni. Ho fatto rapidi progressi, al punto di suonare brani di Paganini e di virtuosi dell’Ottocento. Poi ho intrapreso gli studi musicali a Cracovia. Allora decisi di abbandonare il violino e di dedicarmi del tutto alla composizione.
Infatti gli archi hanno una grande parte nel suo lavoro.
Certo, perché era il mio strumento. Suono il piano ma non abbastanza bene come altri compositori...
In un’intervista degli anni ’70 lei ha detto che la musica era il suo «modo di essere in rapporto con la società». Oggi direbbe la stessa cosa?
No. Tra gli anni ’60 e ’70 ho scritto diversi pezzi che erano impegnati, anche se non in senso strettamente politico: ho ricordato le vittime di Hiroshima, di Auschwitz. Più tardi nel Requiem Polacco ogni pezzo è dedicato a eventi della storia del mio paese, da padre Kolbe a Solidarnosc. Ma poi ho composto pezzi svincolati dalla storia: concerti, opere. L’ultima è Fedra, da Racine, che andrà in scena a Vienna, credo tra tre anni circa. È stata una lunga gestazione.
Lei ha però più volte detto che la scelta dell’avanguardia negli anni ’50 fu in reazione al regime comunista.
Allora la musica che arrivava dall’Ovest in Polonia era proibita. Così come la musica sacra. Per questo ho scritto musica d’avanguardia a soggetto sacro. Dopo il diploma nel 1959 ho scritto i Psalms of David, e nel ’66 ha fatto scalpore la mia Passio secundum Lucam. Il tema sacro non l’ho mai abbandonato. Io credo che ci siano soltanto due i compositori che nel ’900 abbiano davvero sviluppato la musica sacra in un tempo che non l’amava. Uno è Olivier Messiaen, l’altro sono io. Gli altri compositori non hanno frequentato la musica sacra in maniera abituale o non ne hanno mai scritta.
Lei ha composto molti pezzi da concerto ispirati ai testi liturgici. Mai però direttamente per la liturgia.
È vero, il mio Credo dura un’ora… Ho scritto anche pezzi più corti, come lo Stabat Mater e il Veni Creator Spiritus. Quest’anno però a Lipsia c’è stata la première di un nuovo pezzo, una Missa Brevis. È stata commissionata per gli 800 anni del St. Thomas Choir. Questa in realtà potrebbe essere usata nella liturgia.
Lei ha scritto musica d’avanguardia per protesta contro il comunismo quando molti dei colleghi occidentali erano dichiaratamente comunisti…
Ah, ma erano, come potrei dire… degli "spaghetti communist" [ride]. Uno dei più convinti, Luigi Nono, è stato un mio carissimo amico. Era la sua idea fissa. Ma viveva nella vita normale, non nel socialismo reale. Nono è un grandissimo compositore, che ammiro molto e che ha ispirato anche la mia musica sacra.
Poi negli anni ’80 lei è tornato alle grandi forme della tradizione: la sinfonia, il concerto ma anche la passacaglia e la ciaccona.
Ho abbandonato il radicalismo. Quando ho scritto tutto ciò che volevo, ho iniziato una nuova direzione. Anche altri l’hanno fatto, ma io sono stato il primo. I miei colleghi mi hanno criticato, mi hanno definito un traditore non solo delle avanguardie ma della musica stessa.
Pensa che si possa parlare di progresso in musica?
Se guardo indietro nella storia, le avanguardie sono arrivate soltanto nel ’900 e hanno avuto tutte una vita breve. La seconda scuola di Vienna è durata 10, 15 anni. La nostra avanguardia non è arrivata a venti. E poi tutti hanno preso strade diverse. Era un tempo in cui tutti volevamo dimenticare la guerra, la società era profondamente cambiata. Volevamo reiniziare tutto da un grado zero. Era logico. Poi abbiamo chiuso la porta dietro di noi. Molto di ciò che è arrivato dopo è epigonico. Non è nato nulla di veramente nuovo in musica dopo gli anni ’70.
Lei, Lutoslawski, Górecki: c’è un peculiare contributo polacco alla musica del XX secolo?
Penso che la nostra musica sia stata nuova, ma con un volto umano.