Musica. Bob Dylan, ponte universale con la chitarra che diventa un guzheng
Bob Dylan ritratto sulla copertina dell’album “Pontifex” di Giuseppe Oliverio
Tra Oriente e Occidente attraverso i capolavori di Bob Dylan. All’insegna dell’universalismo della musica e alla vigilia degli 80 anni che il menestrello di Duluth compirà il prossimo 24 maggio. A rendergli omaggio è un dylaniano doc, l’architetto-chitarrista Giuseppe Oliverio, promotore da una decina d’anni a Firenze della “Bob Dylan’s Week” che stavolta dai fatidici giorni di maggio si svolgerà forse in agosto, un po’ più lontano dalla minaccia Covid. L’ultimo progetto, con la sua etichetta Acquaraggia (otto dischi all’attivo, centellinati in quarant’anni con certosina pazienza e artigiana maestria), si intitola Pontifex - Dylan on the Great Wall, dove il sostantivo latino va inteso nella sua etimologia: costruttore di ponti.
A far scaturire la scintilla per immaginare e suonare Dylan in chiave orientaleggiante è stato l’ascolto delle celestiali sonorità del guzheng, strumento musicale a 21 corde della famiglia delle cetre. «Sono calabrese ma fiorentino di adozione e in estate insegno chitarra in una scuola cinese. Lì ho sentito il suono del guzheng e ne sono rimasto folgorato – spiega Oliverio –. Pian piano ho cercato di capire come potevo utilizzarlo e farlo conoscere attraverso il pop-rock lavorando con amici musicisti cinesi, cercando accordi che conciliassero la chitarra e il guzheng nelle canzoni di Bob Dylan».
Il risultato non ha tardato ad arrivare. Molti figli di cinesi che hanno colonizzato Prato con le loro imprese tessili studiano a Firenze e diversi frequentano l’Accademia delle Belle arti. «Organizzando delle mostre di pittura – racconta – sono venuto in contatto con una suonatrice di guzheng, Nie Xin, per noi Silvia. Poi ho coinvolto una connazionale violoncellista che studia al conservatorio di Firenze, un coro e un mezzosoprano cinese che canta con l’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Sono riuscito a mettere insieme tutti questi tasselli e ho lavorato per due anni. Il disco era ormai pronto quando, proprio dalla Cina, è arrivata la pandemia. Però ho avuto la pazienza e la forza di portare questo progetto fino in fondo e oggi vede la luce».
Tra i capolavori dylaniani scelti per questo straordinario e sorprendente lavoro di rilettura e rielaborazione Oliverio ha optato, tra gli altri, per le celeberrime Blowing in the wind, Knocking on heaven’s door e Chimes of freedom, dove ha utilizzato vere campane tibetane fatte arrivare apposta dal montuoso Paese asiatico. «Ecco qui il senso più profondo del titolo Pontifex: ponti da costruire, come ci richiama continuamente a fare per primo papa Francesco. Ma musicisti cinesi che suonano le campane del Tibet non è per rimarcare una velata protesta, ma come segno di fratellanza e di pace da attuare». La grande muraglia (Great War) citata nel titolo dell’album diventa qui un ponte di collegamento pacifico tra culture e civiltà, tra pensieri e stati d’animo. Un vero inno alla libertà contro quelli che Dylan definì “Masters of war”.
«A Pontifexsi sono già interessati dagli stessi Stati Uniti – svela Oliverio –. Sono stato contattato da una tv americana che, anche in vista degli 80 anni di Dylan, vorrebbe venire a Firenze con una troupe a fare un servizio e intervistarmi per questa idea di rileggere Dylan in chiave orientale. Ma il Covid per ora non ce lo consente. Intanto sto avendo molte richieste dirette, perché io non ho un distributore, non mi conviene, vendo tramite il sito di Acquaraggia. Il disco è molto ricco, c’è un pop-up con Dylan, il booklet in tre lingue (ovviamente cinese compreso) e, oltre al cd, le chiavette per l’mp3».