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NUOVE TENDENZE. La musica è cambiata: sul podio l’ora delle donne

Alessandro Beltrami martedì 18 agosto 2009
Quando a marzo Xian Zhang è stata no­minata direttore dell’Orchestra Verdi di Milano, la notizia ha fatto il giro del mondo. La 35enne cinese è infatti la prima donna a ricoprire questo ruolo in Italia e una delle poche in Europa. Un evento stori­co, parte però di un fenomeno più ampio che vede una vera e propria fioritura di 'bacchet­te rosa' sui podi di tutto il mondo. Negli Stati Uniti sembra primavera. Nel 2008 e­rano 52 le donne direttori stabili di un’orche­stra, tra cui due afroamericane: George Robert e Margaret Harris. Henry Fogel, ex presidente della League of American Orchestras, l’asso­ciazione che dal 1942 riunisce le compagini sinfoniche Usa, ha sottolineato come dal 1957 al 1982 in America erano soltanto quattro: Sa­rah Caldwell, Antonia Brico, Judith Somogy e Eve Queler. Tutte di generazioni diverse. Se la Brico, nata nel 1902 e morta nel 1989, è stata la prima donna a dirigere nel 1938 la New York Philarmonic, Eve Queler, classe 1936, fonda­trice nel 1971 della Opera Orchestra of New York, è ancora stabilmente sul podio (sarà a Catania a settembre per dirigere la Norma di Bellini). Judith Somogy, scomparsa a 47 anni nel 1988, nel 1982 divenne persino direttore principale dell’Opera di Fran­coforte. Oggi la squadra americana è capitanata da Marin Alsop e JoAnn Falletta. La seconda di­rige da 11 anni la Buffalo Phi­larmonic, nel corso dei quali il budget dell’istituzione è cresciuto da 7,5 milioni di dollari a 10 milioni, l’orche­stra ha vinto due Grammy, ha inciso 14 dischi e ha raggiun­to il record di abbonamenti. Marin Alsop, 53 anni, alla te­sta della Baltimore Symphony dal 2007, è forse la più nota rappresentante delle bacchette fem­minili. Vincitrice di premi prestigiosi, tra cui l’Artist of the Year di Grammophone e il Con­ductor’s Award della Royal Philarmonic So­ciety, la Alsop vanta un mentore illustre come Leonard Bernstein e un curriculum che l’ha vi­sta protagonista alla testa di Royal Concert­gebouw, London Philarmonic, Los Angeles Philharmonic. All’aprile 2008 data il debutto alla Scala, prima donna in 230 anni a dirigere nel teatro del Piermarini. Sembrano lontani i tempi in cui un direttore in gonna era spunto per solleticare la curiosità del pubblico, come accadeva nelle cronache dei primi del secolo scorso. Anche se la bac­chetta poteva impugnarla Nadia Boulanger, pioniera di molte strade del Novecento musi­cale. La progressiva corrosione della gabbia che ha tenuto (e tiene ancora) le donne fuori dal podio parte da lontano. La componente femminile non ha mai avuto vita facile in un sistema tradizionale e maschile come quello orchestrale: solo durante la Seconda guerra mondiale, con gli uomini al fronte, le donne poterono fi­nalmente condividere i leggii con i loro colleghi. Ma con u­na paga inferiore. Oggi l’au­straliana Simone Young (1961) è tranquillamente direttrice principale dell’Opera di Am­burgo e può vantarsi di esse­re la prima donna ad avere di­retto (ma solo nel 2005) i Wie­ner Philarmoniker. La finlan­dese Susanna Mälkki (1969) riceve entusiastiche recensio­ni come direttrice stabile del­l’Ensemble Intercontempo­rain o sul podio dei Berliner. La stessa Zhang, prima di Milano, ha collezionato successi con la New York Philarmonic. Le storiche difficoltà per le direttrici certo non si sono volatilizzate. Diffidenza, presunta in­capacità di gestire la leadership, persino «ec­cessiva sensibilità» e incompatibilità con la ma­ternità sono pregiudizi che durano a morire. Si ha l’impressione di un talento sprecato. Spes­so le ragazze rinunciano alla carriera prima di provarci. Secondo i dati della League of Ame­rican Orchestras, le donne sono l’11,9% dei di­rettori delle orchestre Usa. Le previsioni per il 2011 vogliono le direttrici al 16% del totale. Nel 2007 sui 224 partecipanti della seconda edi­zione del concorso Mahler di Bamberga (lo stesso che nel 2004 lanciò Gustavo Dudamel) 33 erano di sesso femminile. Il 14%. Tra i 14 fi­nalisti, le donne sono state 3: il 21%. Un dato che non tiene conto della qualità: se il primo premio non è stato assegnato, il secondo l’ha vinto la coreana Shi-Yeon Sung, mentre la po­lacca Ewa Strusinska si è aggiudicata il quarto. «I critici guardano come siamo vestite e l’ac­conciatura dei capelli» si è lamentata JoAnn Falletta. Ma, come ha commentato Antonio Pappano, «È bella? È brutta? Capita. Ma ogni direttore deve dare prova di sé ai strumentisti. E alla fine il loro talento musicale vincerà».