In cammino con Dante/13. La musica, armonia di vita e di “Commedia”
Amos Cassioli, “Dante e Casella”, 1860 circa. Siena
Si apre, nell’incontro con il musico Casella, del quale poco sappiamo, fiorentino o pistoiese che fosse, un piccolo momento – quasi un inciso pieno di pudore – della vita di Dante prima dell’esilio, una scena di intima complicità artistica e spirituale, come annoterà, nel suo commento, Cristoforo Landino: «Questo Casella fu nostro ciptadino, huomo di facile natura, lieti costumi, et musico excellente ne’ suoi tempi. Appresso del quale el poeta nostro da lungo studio affaticato, con suo canto ricreava e lassi spiriti, imitando e pythagorici, et Socrate, et molti altri philosophi, e quali per la cagione già decta si dilectavano di musica» (DDP, ad locum). Il primo incontro tra amici, nella luce della incipiente salvezza, è quello con un compositore o quanto meno accompagnatore di musica: che è dire quanto essa sia essenziale tra le arti che compongono il “concento” della Commedia. Lo sottolineava già uno dei primi commentatori, Francesco da Buti, annotando: «E perché nella sua opera tocca molto d’astrologia, e quella non si può avere sanza arismetrica e geometria, è da credere che in tutte e tre fosse bene informato, e di musica ancora si può credere, e sì per li sonetti e canzoni morali ch’elli sottilmente compose, che ne fosse assai bene informato » (Proemio). Buti segue qui la ri- partizione delle arti, del trivio e del quadrivio, già evocata da Dante nel Convivio (II, XIII, 8). Nello stesso trattato il poeta aveva meglio argomentato il privilegio della musica di «armonizzare » gli elementi e di «attrarre a sé» le anime, secondo il «legame musaico » che vincola parola e ritmo: «E queste due proprietadi [di Marte] sono ne la Musica, la quale è tutta relativa, sì come si vede ne le parole armonizzate e ne li canti, de’ quali tanto più dolce armonia resulta, quanto più la relazione è bella: la quale in essa scienza massimamente è bella, perché massimamente in essa s’intende. Ancora, la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì è l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono» ( Convivio II, XIII, 23-24). E la musica stessa è mediatrice, secondo le parole che Amore detta ne la Vita nova, tra il poeta e la donna amata: «Queste parole fa che siano quasi un mezzo, sì che tu non parli a lei immediatamente, che non è degno; e no le mandare in parte sanza me, ove potessero essere intese da lei, ma falle adornare di soave armonia, ne la quale io sarò tutte le volte che farà mestiere » (cap. XII). L’incontro con Casella si svolge in quella stessa gelosa esclusività che traspa- re dalle Rime: «Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento, / e messi in un vasel ch’ad ogni vento / per mare andasse al voler vostro e mio» (ed. Contini, 52). Anche qui, come la musica è segno dell’armonia dei cieli e accompagnamento del messaggio d’amore, così il testo che Casella intona è un verso che riunisce tutto il pensiero e la poesia di Dante, poiché «Amor che ne la mente mi ragiona » è, a un tempo, l’incipit della canzone che inaugura il trattato III del Convivio e anche la riscrittura di un’altra celebre 3 delle Rime: «Voi che savete ragionar d’Amore» ( Rime, 29). Il centro della parabola dantesca è proprio nel volgere questo «amoroso canto » dalla vicenda individuale («E io: “Se nuova legge non ti toglie / memoria o uso a l’amoroso canto / che mi solea quetar tutte mie voglie, // di ciò ti piaccia consolare alquanto / l’anima mia, che, con la sua persona / venendo qui, è affannata tanto!”») al destino di gloria che regola i cieli dei beati, nel circolo di un’eterna armonia: «E moto a moto e canto a canto colse; / canto che tanto vince nostre muse» ( Par XII, 6-7) nella quale si sigilla, con l’apax“cantilena”, il patto tra il divino e l’umano: «E quello amor che primo lì discese, / cantando “ Ave, Maria, gratia plena”, / dinanzi a lei le sue ali distese. // Rispose a la divina cantilena / da tutte parti la beata corte / sì ch’ogne vista sen fé più serena» ( Par XXXII, 94-99). Il culmine di questa plenitudine che armonizzando illumina il creato sarà espresso poco dopo: «Qualunque melodia più dolce suona / qua giù e più a sé l’anima tira, / parrebbe nube che squarciata tona, / comparata al sonar di quella lira / onde si coronava il bel zaffiro / del qual il ciel più chiaro s’inzaffira. / “Io sono amore angelico, che giro / l’alta letizia che spira del ventre / che fu albergo del nostro desiro”» ( Par XXIII, 97-105). Melodia e danza angelica: «danzando al loro angelico caribo» ( Purg XXXI, 132) che non è soltanto musica, ma, agostinianamente, «metro », perno di un ordine universale. Qualche raro autore del XX secolo ha rinnovato questo “rasserenarsi” e ordinarsi, nella luce e nel canto della volta celeste, dell’universo; si pensi soprattutto alla Introducción a la vida angélica. Cartas a una soledad (1939) di Eugenio d’Ors, e alla sua magnifica, e così dantesca, tesi: «Intendo per angelo quanto, ai margini o al fondo del torrente della vita umana, non è fluire né correre, né perdersi nel mare della morte, bensì permanere e restare e posare un piede fermo sopra la viva roccia dell’eternità». Per l’uno e l’altro, « vivir es gestar un Ángel, para alumbrarlo en la eternidad ».
Terzine eponime
Soavemente disse ch’io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
Rispuosemi: «Così com’io t’amai
nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
però m’arresto; ma tu perché vai?».
«Casella mio, per tornar altra volta
là dov’io son, fo io questo vïaggio»,
diss’io; «ma a te com’è tanta ora tolta?».
(Purgatorio II, 85-93)