Si tiene fino a domani presso il Collegio Rosmini di Stresa il XVI simposio rosminiano che quest’anno affronta il tema: «Persona, psiche e società» (informazioni: 0323/30091). Dopo l'intervento di monsignor Nunzio Galantino ("Personalismo, vera anti-ideologia") , anticipiamo quello di Andrea Lavazza, caporedattore di “Avvenire” e studioso di scienze cognitive. Un intervento che ruota attorno alle questioni della psicologia e della conciliabilità della fede con le nuove ricerche sulla psicologia oltre certe forzature dello scientismo contemporaneo.La psicologia di Antonio Rosmini è una psicologia dall’approccio metafisico e fondazionale circa l’anima, la sua costituzione e il suo rapporto con il corpo. Tale approccio è sviluppato nel modo più ampio e compiuto nell’opera intitolata appunto
Psicologia, apparsa in due volumi negli anni 1846 e 1848, e più volte ripubblicata, attualmente in edizione critica 1988-1989 in quattro volumi. Si tratta di un’opera vasta e sistematica in cui l’Autore si concentra soprattutto (ma non solo) su quella che oggi chiameremmo più propriamente antropologia filosofica e che per la gran parte è ricompresa, soprattutto in ambito analitico – per quanto riguarda l’impostazione metodologica generale – e anglosassone – per quanto riguarda l’area geografico-accademica – nell’ambito della filosofia della mente per come essa si è sviluppata a partire dalla riflessione di Russell, Wittgenstein e Ryle alla metà del secolo scorso. D’altra parte, è la stessa basilare impostazione di Rosmini a guidare la sua ricerca e ad ancorare la sua psicologia sui temi dell’anima e del suo destino eterno. Chi ignora la psicologia – osservava infatti – non può sapere se l’anima è mortale o immortale. E, a conclusione della prima parte della sua monumentale opera, scrive: «Crediamo di poter dire che l’uomo non deve pentirsi della fatica compiuta per conoscere se stesso, se il risultato è l’accertamento che la sua parte più nobile – che è l’anima, grazie alla quale vive e intende – durerà in perpetuo». Oggi questa prospettiva, già incrinata dallo sviluppo della psicologia scientifica, nata nelle seconda metà dell’Ottocento con le misurazioni sistematiche del funzionamento mentale condotte da Wilhelm Wundt, è sfidata radicalmente dal naturalismo scientifico. Esso, innanzitutto, esclude il soprannaturale (nella forma di enti: Dio e menti cartesiane; di eventi: miracoli e magia; e di facoltà epistemiche: intuizioni spirituali e visioni mistiche). Il naturalismo si può caratterizzare sia secondo un criterio ontologico: la scienza è la misura di tutte le cose (W. Sellars), quindi il mondo consiste soltanto delle entità alle quali ci impegnano le spiegazioni scientifiche di successo; sia secondo un criterio metodologico: soltanto la scienza con i suoi metodi è la legittima fonte di conoscenza sul mondo e sull’essere umano. Pertanto, le scienze cognitive contemporanee che assumono il naturalismo scientifico restituiscono una visione del soggetto controintuitiva e assai differente da quella tradizionale. Quest’ultima – detta anche psicologia di senso comune – dipinge un agente autocosciente, libero e razionale; propone la distinzione (tacita) mente-corpo ma con l’unità e solidità del soggetto; e gli attribuisce autonomia e capacità di auto-determinazione, intenzione, volontà. Secondo il modello 'cerebralistico', che si oppone alla
folk psychology, vi è invece una prevalenza di processi automatici e inconsci, una messa in discussione del libero arbitrio, una riduzione degli spazi di razionalità e l’identificazione della mente con l’attività del cervello, con conseguente disunità e fragilità del soggetto e ridotta capacità di autodeterminazione cosciente. Uno studioso che aderisca al cristianesimo per fede e per convinzione basata anche su elementi di ricerca razionale potrà dunque essere indotto a sostenere, almeno in parte, le tesi del 'senso comune'. Esse sono infatti quelle che sembrano più vicine all’antropologia cristiana come si è andata delineando nei secoli ed è ancora tratteggiata oggi, per esempio, nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Ciò non significa però rinunciare a fare psicologia scientifica, nel senso ampio. Non tutte le forme di naturalismo sono infatti impegnate a negare la psicologia di senso comune, ovvero quella che fa ricorso a spiegazioni in termini di credenze, desideri e intenzioni, e che permette di evitare forme di riduzionismo e materialismo. Pensatori come Donald Davidson, Peter Strawson, Hilary Putnam e John Mc-Dowell hanno fatto riferimento a forme di naturalismo liberalizzato, più aperte e inclusive, capaci di risolvere alcuni problemi e superare i limiti del naturalismo scientifico, sia dal punto di vista concettuale sia da quello dell’effettiva conoscenza del mondo. Secondo queste versioni del naturalismo, ciò che esiste ed è conoscibile non è esaurito dall’ontologia e dall’epistemologia scientifiche, anche se rimane illegittimo postulare l’esistenza di entità che violino le leggi di natura o basarsi su fonti di conoscenza del tutto incompatibili con la prospettiva scientifica Nel naturalismo liberalizzato (Mario De Caro e David Macarthur), benché le proprietà degli essere umani (comprese quelle mentali) debbano essere instanziate da un sostrato di proprietà fisiche (a livello cerebrale), ciò non implica che le spiegazioni che riguardano tale livello valgano anche per le proprietà mentali. La realtà umana è complessa e per darne conto abbiamo bisogno di una pluralità irriducibile di strumenti esplicativi. Non forse è azzardato immaginare che oggi Rosmini sarebbe impegnato in dialogo serrato con i filosofi naturalisti e con gli scienziati cognitivi per mostrare loro non solo quello che la fede suggerisce alla ragione ma anche quello che la ragione indica alla scienza che pretende di esaurire ogni spazio di conoscenza.