Agorà

De Lellis. La medicina totale di San camillo

Roberto I. Zanini sabato 4 gennaio 2014
È stato un gigante dell’assistenza medica, il precursore di tutti coloro che si sono occupati di organizzazione ospedaliera, ma il suo nome solitamente non trova posto nella storia della medicina. Stiamo parlando di san Camillo de Lellis, nato a Bucchianico il 25 maggio del 1550 e morto a Roma il 14 luglio 1614. Un uomo che «riforma e rivoluziona» la professione infermieristica e l’organizzazione assistenziale negli ospedali, fondendo sapientemente logiche aziendali, disciplina militare e carità cristiana. «La sua intuizione – spiega Giorgio Cosmacini – è che il malato deve essere curato nel corpo secondo le migliori e più moderne conoscenze mediche e deve essere assistito nell’anima così che possa al meglio affrontare la sofferenza e, nel caso, il passaggio attraverso la morte». Proprio su Camillo de Lellis, Cosmacini, che è filosofo e storico della medicina e della sanità, nonché docente all’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, ha appena pubblicato una biografia per le Edizioni Laterza: Camillo de Lellis. Il santo dei malati (pagine 186, euro 18).Un grande innovatore che gli storici si ostinano a ignorare.«E la cosa più singolare è che quegli stessi storici danno il giusto spazio a Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa, e Florence Nightingale, ispiratrice dell’assistenza infermieristica moderna. Due personaggi che in pieno ’800, cioè quasi tre secoli dopo, innovano l’assistenza medica proprio partendo dalla lezione di San Camillo».Un innovatore e un anticipatore.«Certamente. Ma, ripeto, l’unico manuale di storia delle medicina che ne affronta la figura e l’insegnamento è Storia della medicina e della sanità in Italia, scritto da me e pubblicato da Laterza nel 1987. Nessuno spiega che Camillo è fondatore di un nuovo modello di assistenza ai malati in un periodo di pestilenze globali e nel bel mezzo di due fondamentali eventi medico-scientifici: la pubblicazione nel 1543 del trattato di Andrea Vesalio De humani corporis fabrica, che pone le basi dell’anatomia moderna, rivoluzionando le concezioni mediche di Galeno; e la pubblicazione nel 1628 (14 anni dopo la morte di Camillo) del trattato De motu cordis et sanguinis di William Harvey, che spiega e dimostra l’esistenza della circolazione sanguigna».Qual è l’intuizione di Camillo?«Intuisce che l’infermiere ideale deve avere una buona cultura per conoscere le ultime conoscenze igieniche e mediche, dialogare con i dottori ed essere mediatore nel loro rapporto con i malati. Oltre all’assistenza del corpo, inoltre, deve sapersi fare carico dell’assistenza dello spirito. Qualcosa di radicalmente diverso da quanto accadeva negli ospedali dell’epoca, dove i malati erano abbandonati a loro stessi e gli infermieri erano rozzi e ignoranti».Lei usa la definizione di «assistenza globale».«Sì, quella inventata da Camillo è assistenza globale secondo una concezione moderna. Un’assistenza che si fa carico fisicamente, moralmente, responsabilmente e spiritualmente del malato. Lui stesso la definisce "assistenza globale". Un’assistenza che non divide l’uomo, ma lo tiene unito in tutto il suo essere. Una concezione umanistica dell’assistenza medica ispirata dalla visione cristiana dell’uomo».Un’intuizione che nasce, come quella di Dunant a Solferino, dalla frequentazione dei campi di battaglia.«Camillo è un soldataccio che ne fa di tutti i colori. Poi viene ferito a una gamba. Malcurato, accusa dolori forti e ricorrenti per tutta la vita. Più volte viene ricoverato a Roma al San Giacomo degli Incurabili. Qui, durante l’ultimo ricovero, fa il grande passo e da malato si trasforma in infermiere, con tanta abilità e capacità da essere promosso a "maestro di casa": la figura professionale che si fa carico dell’organizzazione economica e dell’assistenza. Un manager, diremmo oggi».E comincia a mettere in pratica le sue idee?«Idee che partono dalla convinzione che il lavoro negli ospedali deve essere professionalmente organizzato. E nell’organizzazione fonde la visione militare della disciplina con quella della carità cristiana. I suoi "Ministri degli infermi", la congregazione da lui fondata, sono "ministri" in quanto servitori dei malati e la loro mansione è di affrontare l’assistenza come una missione, con cura ed efficienza. Infermieri che, come congregazione, sono capaci di assumere in toto l’organizzazione degli ospedali. E lo fanno talmente bene che in pochi anni vengono chiamati a Roma, Napoli, Milano, Genova, Bologna, Messina, Firenze, Ferrara. Gli propongono anche Madrid, ma lui non riesce ad andare».Nascono anche le prime difficoltà.«Ce ne sono di esterne dovute al fatto che il metodo di Camillo è talmente efficace da scalzare il preesistente, con tutte le conseguenze del caso. Ma ce ne sono anche di interne alla congregazione, con l’iniziale disputa sui ruoli fra "padri" e "frati", con Camillo che ribadisce che i voti per entrare nei "Ministri" sono quattro: obbedienza, povertà, castità, servizio ai malati e quindi tutti, anche chi è sacerdote, devono dedicarsi all’assistenza, che, come lui dice, è globale, cioè non separa il corpo dall’anima. Ecco, quando oggi si parla di umanizzare l’assistenza medica, bisogna pensare che si tratta di un concetto che Camillo applicava già nel ’500: i malati non sono solo oggetto di una terapia, ma di una cura della persona. Avendo ben presente che la persona e la sua cura sono più importanti della terapia, perché un malato può essere inguaribile, ma deve comunque essere curato».