Hai voglia a spiegare che vincere non è un imperativo categorico, specie in un contesto sportivo dove ci si rende conto che fra doping e scorrettezze d’ogni tipo si cerca l’impossibile per prevalere sugli altri. Esiste una fortuna però, ed è legata a quelli cui resta ancora un briciolo di amor proprio. A quelli, per dirla tutta, che con un semplice segno di lealtà riescono a restituire la dignità smarrita dagli altri. Questo è il caso di due mezzofondisti, una ragazza statunitense e un atleta spagnolo, premiati nei giorni scorsi a Losanna, nella sede del Cio, per i veri momenti di gloria dello sport: quelli legati al fair play. Gesti onesti, non eclatanti; e istantanee legate a chi rispetta gli avversari, sempre e comunque. Lei, Meghan Vogel, si trovava a Columbus, nell’Ohio, quasi al traguardo di una corsa da 3200 metri. Lì, a 150 metri dal filo di lana, osservando l’atleta che la precedeva, Arden McMath, si accorse delle sue difficoltà: la McMath stava stramazzando al suolo, cotta dalla fatica, praticamente ferma, gambe piegate e sguardo perso nel vuoto. Ricordate l’Olimpiade del 1984, quando una maratoneta svizzera, Gabriela Andersen-Schiess, impiegò più di cinque minuti per compiere l’ultimo giro di pista, tutta piegata da una parte, quasi al collasso? Ecco, nell’Ohio stava accadendo qualcosa di simile. Così la diciassettenne Vogel, classica ragazza da college, bella, bionda e pimpante pure sul rettilineo finale, non ci ha pensato due volte: si è caricata l’avversaria in spalla portandola con sé fino al traguardo. Il premio in questione, il Fair Play Awards (ideato dall’Associazione internazionale della stampa sportiva) è stato assegnato anche allo spagnolo Ivan Fernandez Anaya, pronto ad accorgersi durante una gara di corsa campestre disputata a Burlada che l’antagonista in testa alla gara, Abel Mutai (fra le altre cose tutt’altro che l’ultimo della classe visto che è stato bronzo olimpico a Londra 2012) aveva confuso la linea del traguardo. S’era fermato cioè una decina di metri prima del finish, convinto d’aver concluso la gara. Così l’iberico lo raggiunse ma non lo superò, lo avvisò dell’errore, gli indicò il vero traguardo e arrivò alle sue spalle. «Non me lo sarei perdonato di vincere una gara in maniera scorretta», ha dichiarato Anaya. Gesti d’altri tempi, verrebbe da scrivere, da libro
Cuore, meritevoli d’un premio perché diventano spesso e volentieri un
unicum, atteggiamenti isolati e nulla più. All’interno della stessa manifestazione a Losanna, Davide Ballardini è stato premiato dall’Associazione internazionale della stampa sportiva (Aips), presieduta da Gianni Merlo, per il suo gesto di fair play in occasione di Roma-Genoa, che gli è costata anche l’espulsione. Il tecnico del club ligure (oggi ex) fu cacciato dall’arbitro Gervasoni dopo aver invaso il campo di gioco per fermare la partita e richiamare l’attenzione poiché nessuno si era accorto che il giocatore della Roma, Osvaldo era a terra per infortunio. Un gesto “normale” che, purtroppo, diventa speciale.