Agorà

CINEMA. La maledizione della Tana del Lupo

Riccardo Michelucci sabato 24 gennaio 2009
«Lunga vita alla sacra Ger­mania! ». Un istante pri­ma di essere falciato dal­le raffiche del plotone d’esecuzione, il colonnello della Wehrmacht Claus Schenk von Stauffenberg lanciò un ultimo grido per suggellare un gesto disperato che consegnava per sem­pre il suo nome ai libri di storia. Si concludeva così la vicenda del con­giurato che per un soffio non riuscì a uccidere Adolf Hitler all’interno della "Tana del lupo", il suo blinda­tissimo quartier generale a Rasten­burg. La storia dell’Operazione Val­chiria, e della bomba che il 20 luglio 1944 doveva far saltare in aria il Fuhrer spazzando via il già morente Terzo Reich, viene raccontata per la prima volta al cinema nell’attesa pellicola di Bryan Singer, in uscita nelle sale italiane il 30 gennaio. Un film dalla gestazione lunga e discus­sa soprattutto per la scelta dell’atto­re protagonista, quel Tom Cruise in­viso a molti a causa della sua appar­tenenza alla chiesa di Scientology, in Germania considerata al pari di una setta pericolosa e per questo criticato anche dal ministro della Difesa tedesco e dagli eredi di Stauf­fenberg. Ma l’ultima fatica del gio­vane regista (già autore de I soliti so­spetti e dei due episodi della saga di X-Men) catalizza da tempo l’atten­zione dei critici e dell’opinione pub­blica soprattutto per il tema rappre­sentato: l’opposizione interna al re­gime nazista. «È il momento di mo­strare al mondo – scriveva Stauffen­berg in una lettera alla moglie del 1943 –- che la resistenza tedesca non sta con le mani in mano ma osa passare all’azione, a prezzo della vi­ta ». Il piano per eliminare il Führer durante una riunione degli stati maggiori dell’esercito aveva scarse possibilità di riuscita, e fu vanificato completamente da una serie di con­trattempi e fatalità che consentiro­no a Hitler di cavarsela con qualche lieve ferita. Non sorprende che di fronte a una vicenda come questa, Hollywood abbia ceduto alla tenta­zione di ritrarre i congiurati come un gruppo di eroi ro­mantici e idealisti. Ma gli esiti della ricerca sto­rica hanno riportato a galla le sfumature della vicenda, oltre alle non poche ombre sugli au­tori del famoso com­plotto. A fare chiarezza, e a ricostruire quanto accadde nella sua com­plessità, contribuisco­no tre volumi usciti di recente in lingua ingle­se. Il primo – Germans Against Hitler – è opera di Hans Mommsen, u­no dei più importanti storici tede­schi viventi, famoso per i suoi studi sul nazismo, nei quali è arrivato a definire Hitler un 'dittatore debole', quasi un personaggio di secondo piano nella tragica vicenda del Ter­zo Reich. Il libro contiene una serie di saggi sulla resistenza tedesca e fa luce sul passato poco edificante di gran parte dei personaggi impegna­ti nell’attentato. Molti avevano ade­rito con entusiasmo all’ideologia razzista, avevano partecipato o so­stenuto, in qualche modo, la guerra di sterminio. Se il piano e il succes­sivo colpo di stato fossero andati a buon fine – spiega Mommsen – il paese non sarebbe tornato imme­diatamente alla democrazia. Anche l’esecutore materiale dell’attentato, a quanto sembra, aveva i suoi sche­letri nell’armadio: da poco nomina­to capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, Claus von Stauffenberg era un brillante aristocratico bava­rese membro di un’antica famiglia cattolica. In gioventù era stato un seguace del mistico tedesco Stefan George, la cui poesia enfatizzava l’e­roismo e il sacrificio personale, teo­rizzando un rinnovamento spiritua­le della società. Ma secondo Ian Kershaw, storico britannico già au­tore di una monumentale biografia di Hitler, si mostrò spesso ambiva­lente nei confronti del regime, dive­nendo sempre più critico solo con l’avvicinarsi della guerra. Nel suo re­cente Luck of the Devil, Kershaw spiega che in una prima fase Stauf­fenberg aveva mostrato aperto di­sprezzo nei confronti del popolo polacco, approvando l’occupazione del paese. Soltanto in seguito inor­ridì di fronte alla crescente barbarie del regime, convincendosi infine che Hitler stava conducendo la Ger­mania alla catastrofe. Un approccio più votato al pragmatismo che agli ideali emerge anche da Valkyrie, l’interessante libro-testimonianza scritto da Philipp von Boeselager, un altro ex ufficiale della Wehrma­cht che partecipò attivamente al complotto. Riuscito quasi miracolosamente a scampare alle decine di fucilazioni che segui­rono l’attentato, Boese­lager è morto l’anno scorso all’età di 90 anni, poco dopo aver dato alle stampe il volume, nel quale ammette che l’o­perazione fu motivata più dagli esiti ormai se­gnati del conflitto (gli Al­leati erano già sbarcati in Normandia e i russi a­vanzavano da est) che dalle atrocità commesse dai nazisti durante la guerra. Ma il fatto che i congiurati del 20 luglio 1944 appaiano assai lontani dalla purezza d’ideali mostrata, ad esem­pio, dagli studenti cristiani della 'Rosa bianca', non toglie valore al coraggio di uomini pronti a tutto pur di dimostrare l’esistenza di un’«altra Germania». E forse, se l’at­tentato a Hitler avesse avuto succes­so, sarebbe stata diversa anche la sorte dei due milioni e settecento­mila tedeschi che persero la vita ne­gli ultimi nove mesi del conflitto.