«Lunga vita alla sacra Germania! ». Un istante prima di essere falciato dalle raffiche del plotone d’esecuzione, il colonnello della Wehrmacht Claus Schenk von Stauffenberg lanciò un ultimo grido per suggellare un gesto disperato che consegnava per sempre il suo nome ai libri di storia. Si concludeva così la vicenda del congiurato che per un soffio non riuscì a uccidere Adolf Hitler all’interno della "Tana del lupo", il suo blindatissimo quartier generale a Rastenburg. La storia dell’Operazione Valchiria, e della bomba che il 20 luglio 1944 doveva far saltare in aria il Fuhrer spazzando via il già morente Terzo Reich, viene raccontata per la prima volta al cinema nell’attesa pellicola di Bryan Singer, in uscita nelle sale italiane il 30 gennaio. Un film dalla gestazione lunga e discussa soprattutto per la scelta dell’attore protagonista, quel Tom Cruise inviso a molti a causa della sua appartenenza alla chiesa di Scientology, in Germania considerata al pari di una setta pericolosa e per questo criticato anche dal ministro della Difesa tedesco e dagli eredi di Stauffenberg. Ma l’ultima fatica del giovane regista (già autore de
I soliti sospetti e dei due episodi della saga di
X-Men) catalizza da tempo l’attenzione dei critici e dell’opinione pubblica soprattutto per il tema rappresentato: l’opposizione interna al regime nazista. «È il momento di mostrare al mondo – scriveva Stauffenberg in una lettera alla moglie del 1943 –- che la resistenza tedesca non sta con le mani in mano ma osa passare all’azione, a prezzo della vita ». Il piano per eliminare il Führer durante una riunione degli stati maggiori dell’esercito aveva scarse possibilità di riuscita, e fu vanificato completamente da una serie di contrattempi e fatalità che consentirono a Hitler di cavarsela con qualche lieve ferita. Non sorprende che di fronte a una vicenda come questa, Hollywood abbia ceduto alla tentazione di ritrarre i congiurati come un gruppo di eroi romantici e idealisti. Ma gli esiti della ricerca storica hanno riportato a galla le sfumature della vicenda, oltre alle non poche ombre sugli autori del famoso complotto. A fare chiarezza, e a ricostruire quanto accadde nella sua complessità, contribuiscono tre volumi usciti di recente in lingua inglese. Il primo –
Germans Against Hitler – è opera di Hans Mommsen, uno dei più importanti storici tedeschi viventi, famoso per i suoi studi sul nazismo, nei quali è arrivato a definire Hitler un 'dittatore debole', quasi un personaggio di secondo piano nella tragica vicenda del Terzo Reich. Il libro contiene una serie di saggi sulla resistenza tedesca e fa luce sul passato poco edificante di gran parte dei personaggi impegnati nell’attentato. Molti avevano aderito con entusiasmo all’ideologia razzista, avevano partecipato o sostenuto, in qualche modo, la guerra di sterminio. Se il piano e il successivo colpo di stato fossero andati a buon fine – spiega Mommsen – il paese non sarebbe tornato immediatamente alla democrazia. Anche l’esecutore materiale dell’attentato, a quanto sembra, aveva i suoi scheletri nell’armadio: da poco nominato capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, Claus von Stauffenberg era un brillante aristocratico bavarese membro di un’antica famiglia cattolica. In gioventù era stato un seguace del mistico tedesco Stefan George, la cui poesia enfatizzava l’eroismo e il sacrificio personale, teorizzando un rinnovamento spirituale della società. Ma secondo Ian Kershaw, storico britannico già autore di una monumentale biografia di Hitler, si mostrò spesso ambivalente nei confronti del regime, divenendo sempre più critico solo con l’avvicinarsi della guerra. Nel suo recente
Luck of the Devil, Kershaw spiega che in una prima fase Stauffenberg aveva mostrato aperto disprezzo nei confronti del popolo polacco, approvando l’occupazione del paese. Soltanto in seguito inorridì di fronte alla crescente barbarie del regime, convincendosi infine che Hitler stava conducendo la Germania alla catastrofe. Un approccio più votato al pragmatismo che agli ideali emerge anche da
Valkyrie, l’interessante libro-testimonianza scritto da Philipp von Boeselager, un altro ex ufficiale della Wehrmacht che partecipò attivamente al complotto. Riuscito quasi miracolosamente a scampare alle decine di fucilazioni che seguirono l’attentato, Boeselager è morto l’anno scorso all’età di 90 anni, poco dopo aver dato alle stampe il volume, nel quale ammette che l’operazione fu motivata più dagli esiti ormai segnati del conflitto (gli Alleati erano già sbarcati in Normandia e i russi avanzavano da est) che dalle atrocità commesse dai nazisti durante la guerra. Ma il fatto che i congiurati del 20 luglio 1944 appaiano assai lontani dalla purezza d’ideali mostrata, ad esempio, dagli studenti cristiani della 'Rosa bianca', non toglie valore al coraggio di uomini pronti a tutto pur di dimostrare l’esistenza di un’«altra Germania». E forse, se l’attentato a Hitler avesse avuto successo, sarebbe stata diversa anche la sorte dei due milioni e settecentomila tedeschi che persero la vita negli ultimi nove mesi del conflitto.