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Milano. «La Grande Madre», maternità e potere delle donne nel Novecento

Annalisa Guglielmino martedì 25 agosto 2015
Le mani tese e il sorriso di una mamma che sorregge il figlio nei suoi primi passi: si anima di monumentalità, eppure non perde di naturalezza, la scena in cui molti visitatori potranno imbattersi nelle sale di Palazzo Reale, a Milano. Una performance, tra arte e realtà, che bene introduce (anche se non ne esaurisce la portata e la complessità) a «La Grande Madre», la mostra-evento di Expo in città prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi (dal 26 agosto al 15 novembre). Il ruolo convenzionale della madre che dà la vita e la sostiene è solo uno degli aspetti di una riflessione sulla maternità non scontata nè sempre di facile lettura. «Un'esperienza universale e trasversale che unisce donne lontane per età, religione, cultura, aree geografiche», spiega Beatrice Trussardi, presidente della Fondazione. Inoltrarsi nel lungo percorso espositivo (29 sale, 400 opere di 139 artiste e artisti provenienti da 20 musei del mondo) «è come sfogliare un album di famiglia», o entrare in una «casa di bambola»: Massimiliano Gioni, curatore della mostra e direttore artistico della Fondazione, lega così la complessa iconografia e la rappresentazione della maternità nel corso di tutto il Novecento (passando per il Futurismo, il Surrealismo, i totalitarismi, il femminismo e il post-femminismo). In 29 passaggi, sala dopo sala, si susseguono «sentimenti opposti, affetti profondi e rifiuti spietati. Si restituisce un'immagine della madre forse meno rassicurante, ma assai potente: una figura sulla quale l'intera società occidentale, per oltre un secolo, ha proiettato desideri, ansie e aspirazioni individuali e collettive».

Fermo immagine dal video di Ragnar Kjartansson Me and My Mother (Io e mia madre).Si parte dagli ultimi anni dell'800, esattamente dal 1897. C'è l'archivio di Olga Fröbe-Kapteyn, che dagli anni Trenta, per tutta la vita, ha raccolto migliaia di immagini femminili di madri, matrone e divinità preistoriche, che hanno inciso sull'archetipo junghiano della "grande madre". Fa effetto la foto di Freud (la pubblicazione dell'Interpretazione dei sogni, che ha cambiato per sempre la percezione della relazioni familiari, è proprio del 1897) in posa accanto alla madre Amalia. E fanno sorridere le opere di Umberto Boccioni: il campione del Futurismo passava la vita a ritrarre la madre (immagine qui sotto). C'è, poi, il tema della morte della madre. E quello della maternità mancata e della fisicità tormentata di Frida Kahlo, nella famosa Cerva ferita (The Wounded Deer, 1946).  C'è la voce delle Madri di Plaza de Mayo, lo sguardo aggrottato puntato oltre la macchina della Migrant Mother, di Dorothea Lange (1936), iconica madre migrante con il figlio addormentato in braccio. Ci sono i manifesti abortisti degli anni Sessanta e Settanta ma c'è anche la gioia della maternità nell'installazione vivente di  Roman Ondák, in cui la madre insegna a camminare al proprio figlio.

Migrant Mother (Madre Migrante). Dorothea Lange, 1936. Tanti gli sguardi delle donne sulle donne (Benedetta, Regina Rosa Rosà, Catherine Opie, Marisa Mori, Pipilotti Rist, Rineke Dijkstra, Ana Mendieta). «È una mostra non solo sul potere generativo e creativo della madre, ma soprattutto sul potere negato e sul potere conquistato dalle donne nel corso del secolo - prosegue Gioni -. L'arte e cultura hanno spesso posto al centro la figura della madre, come simbolo della creatività e metafora della definizione stessa di arte».

Gillian Wearing, SelfPortrait as My Mother Jean Gregory (Autoritratto come mia madreJean Gregory), 2003.
La rappresentazione non è univoca, nè senza eccessi. «L'influenza della psicanalisi, la rivoluzione delle avanguardie, l'accelerazione della tecnologia, le politiche totalitarie e le lotte del femminismo sono alcune delle profonde trasformazioni sociali che hanno investito la sfera della maternità e della famiglia». Raccontare l'inconografia della maternità porta quindi a parlare «anche di padri - troppo spesso padroni - , di stato e di nazioni», conclue Gioni. Si tocca anche il rapporto con la religione, riflettendo sulle relazioni che legano immagini, religione e potere. Non si salva dalla manipolazione dell'arte moderna nemmeno l'iconografia mariana, restituendo una Madonna lontana dal sentimento popolare. La trasversalità culturale delle opere in mostra è annunciata dalla straniante immagine di copertina della guida: l'autoritratto dell'artista britannica Gillian Wearing nei panni della propria madre.

 

 Nicholas Nixon. Due foto della serie Le Sorelle Brown - The Brown Sisters. La preparazione della mostra è durata due anni.  Pochi giorni fa Massimiliano Gioni è diventato padre. «Se Giacomo fosse nato prima? Forse la rappresentazione sarebbe stata meno ruvida», ha ammesso, sottolineando come la mostra includa, senza censure, la diversa esperienza che ciascuno può fare della maternità. L'arte aiuta nel percorso di ricerca interiore e di interpretazione. E le diverse arti, conclude il curatore, «sono qui viste in un rapporto di sorellanza, non di conflitto». Su tutte, emerge la fotografia: tra le tecnologie del '900, è di tutte la «grande madre».

Lucio Fontana. Concetto spaziale. Natura (1959-1960)

 Una mamma insegna a camminare al proprio figlio: parte della performance di Roman Ondák.