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Cinema. Al Festival di Trento la Grande Guerra vinta dal silenzio

Luca Pellegrini martedì 6 maggio 2014
Un giorno di festa in Tirolo. Nel mezzo del quale esplode la Grande Guerra, quattro anni di tragedia e di morte. Amici e amiche stanno festeggiando il matrimonio di List. Suo fratello Anderl (Willam Moseley, arrivato dalle Cronache di Narnia), incontra l’italiana Francesca, interpretata da Eugenia Costantini (figlia di Laura Morante e del regista Daniele). La forza dell’amore in quel momento li unisce, la violenza della guerra – siamo nel maggio del 1915 – li dividerà. Lui si ritroverà a combattere sul fronte austriaco, lei si nasconderà perché italiana. Osservano, diventate cupe, le montagne, imbevute di sangue e di preghiere, di paure e di eroismi. La montagna silenziosa ha chiuso la 62ª edizione del Trento Film Festival, un kolossal presentato in anteprima (ora alla ricerca di un distributore, per arrivare giustamente nelle sale), sostenuto dalla vivace Trentino Film Commission proprio nell’anno in cui si celebra il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. È stato in gran parte girato al Passo della Meldola in Alta Val di Non. Per ricordare come, con l’ingresso dell’Italia nel conflitto, gli orrori della guerra irruppero direttamente nel territorio di quella regione, lungo un fronte di 300 km, dall’Ortles alla Marmolada, innescando il dramma di migliaia di famiglie trentine deportate a ridosso del fronte. «Un film sull’amore e sull’odio – dichiara la giovane attrice –, sull’infrangersi di un sogno, in un finale forse più onirico che reale in cui, abbracciata ad Anderl, insieme camminiamo verso un futuro ignoto e la montagna esplode intorno a noi». Anche Claudia Cardinale ha tenuto molto al ruolo della nonna italiana, «perché quando si denuncia la guerra ogni film è importante», ha dichiarato.Le origini della produzione sono lontane. «Nel 2001 – racconta il regista austriaco Ernst Gossner – il giorno dell’attacco alle Torri Gemelle mi trovavo a Los Angeles. Ho percepito come un’intera società fosse attratta dall’idea di una guerra. Sia lì che in Europa non si era in seguito levata alcuna obiezione nei confronti di un’azione militare contro l’Iraq o l’Afghanistan. Così ho cominciato a riflettere su una possibile storia di guerra. Poi, nel 2004, mi sono imbattuto nell’immagine dei corpi di tre soldati austriaci tirati fuori dal ghiaccio dell’Adamello, morti in una battaglia avvenuta nel 1918. Ho così deciso di ambientare la mia storia proprio in quel periodo e in quei luoghi».  Perché la sua montagna, a dispetto della guerra che vi si combatte, è "silenziosa"?«Perché non esprime un’opinione, quando sulle sue pendici si porta la morte o è lei stessa a causarla. È montagna prima e rimane montagna dopo. Il suo silenzio è terribile. La Prima Guerra Mondiale sembra un capitolo di storia che ci riguarda poco. Credo, invece, che abbia una grande importanza per tutta l’Europa. È una guerra che non è mai stata del tutto "digerita"». Quanto tempo c’è voluto dalla sua fine allo scoppio di nuove atrocità con la Seconda delle guerre mondiali? Meno di vent’anni! Oggi, come europei e cittadini "globali", dobbiamo tenerne viva la memoria, anche per non dimenticare la follia delle nostre famiglie, dei governanti e di interi stati che in quegli anni mandarono un’intera generazione al macello».Nel film una tragedia collettiva affianca una tragedia intima. Anderl e Francesca sono dei vincitori o dei perdenti?«Dal mio punto di vista sono entrambi dei perdenti. Ma hanno anche una grande speranza racchiusa nei loro cuori di giovani innamorati. E questo è in generale ciò che penso di noi esseri umani. Ci possiamo sentire dei perdenti, ma l’amore ci aiuta a vincere». L’Europa oggi versa in gravi difficoltà, è attraversata da populismi, derive nazionalistiche, intolleranze. L’idea stessa di una Unione europea è in crisi. Qual è il suo pensiero a riguardo?«L’Europa deve continuare a mostrare al mondo che gli esseri umani possono collaborare tra loro per un mondo migliore, anche se alle loro spalle ci sono duemila anni di continue guerre che li hanno divisi. Sono pure convinto che l’Europa non possa che procedere verso un’unione stabile, senza però dimenticare che siamo partiti da una frammentazione millenaria. Per questo bisogna dar tempo alla storia. Credo che ciascuno di noi debba sentirsi parte di un progetto speciale e di un grande ideale. Anche se il mio film parla di guerra, c’è da dire che in Europa non abbiamo mai vissuto un periodo di pace così lungo. Il sangue scorre assai meno. Ma tutti – e i fatti recenti, dalla Bosnia all’Ucraina, lo dimostrano – corriamo sempre il pericolo di accendere quella scintilla della guerra e dell’odio che cova, nascosta, in fondo al nostro cuore».