Musica. La geografia di Michele Bravi: «Così abito il buio»
Il cantautore di Città di Castello, Michele Bravi, 26 anni. L’album del suo ritorno sulle scene si intitola “La geografia del buio”
Ci sono momenti in cui tutto diventa buio. E non ha senso combatterlo o cercare disperatamente la luce. «La vera sfida è riuscire ad abitare, a convivere con il buio». Imparare la sua «geografia », «abitarlo». È quello che ha fatto il cantautore e «creativo » – come ama definirsi – Michele Bravi, 26 anni, per tornare quasi silenziosamente sulla scena a quattro anni da Anime di carta e dal brano che gli valse il quarto posto a Sanremo 2017, Il diario degli errori. Il 22 novembre del 2018, Bravi rimane coinvolto - assumendosi la responsabilità (ha patteggiato una pena di 18 mesi, sospesa) - in un terribile e fatale incidente stradale in cui ha perso la vita una donna di 58 anni. Un trauma, un dolore, una colpa che segnano immensamente il cantante: annullati concerti e tutti gli impegni, si chiude nella sua stanza. Al buio. E lì resta per lunghi mesi, senza parole e note. Il sorriso e La vita e la felicità con cui aveva esordito nel 2013, vincendo X Factor, appaiono lontani. Un’altra vita.
«Ho iniziato una profonda riflessione sul trauma. La salvezza non è stata la musica, che non riuscivo a comporre, la voce che non riusciva a cantare, ma la terapia, il metodo Emdr, con cui ho dato una casa a quel dolore che mi devastava, un disegno, una geografia a quel labirinto buio», racconta il giovane artista di Città di Castello, in Umbria. Solo dopo è arrivata la musica. Prima il pianoforte, da solo. Poi le parole. Sempre misurate, centellinate una ad una, come un diario. Sempre un diario. Così è nato La geografia del buio, l’album uscito il 29 gennaio (Virgin Records/ Universal Music, euro 20,50), rimasto nel cassetto per tutto lo scorso anno, fra lockdown e pandemia, come una «prova del nove» della sua capacità di «orientarsi nella notte», con La promessa dell’alba (il brano che apre il cd), sì, ma anche la consapevolezza che la sfida sta nella capacità di vivere con il buio e con quel dolore che non passerà: «Significa stabilire le coordinate di un luogo oscuro, conoscerne gli spazi, abitarlo, arredarlo. Avere le parole per dire che il caos non salva da niente ma almeno disegna il labirinto – continua Bravi –. La geografia del buio è il racconto bendato attraverso quel labirinto di ombre e racconta, tra momenti di silenzio e il suono legnoso di un pianoforte verticale, un messaggio tanto semplice quanto potente: il buio, come il dolore, è solo una condizione e non esiste un senso o un significato. L’unica direzione che si può dare alla propria sofferenza è quella della condivisione affinché suggerisca a un altro dolore, quasi conducen- dolo per mano, qual è la strada da percorrere nell’ombra».
Domani, dalle 18,30, in occasione della “Notte internazionale della geografia”, Michele Bravi – che abbiamo rivisto sul palco di Sanremo, il mese scorso, per duettare con Arisa – dialogherà con i geografi Simone Bozzato e Marco Maggioli proprio su “Geografie del buio Geografie della notte”, in un incontro dove la musica abbraccia la scienza, promosso dall’Università di Roma Tor Vergata e dallo Iulm, in collaborazione con Simtur, la Società italiana professionisti della mobilità e del turismo sostenibile (sui cui canali social è visibile l’evento). «L’incontro con Michele Bravi, a partire dal suo ultimo album, nasce dalla volontà di comprendere, come la Geografia possa essere non solo la scienza dei luoghi, ma possa anche divenire fonte d’ispirazione artistica – dice Bozzato –. Bravi nel suo album tratta, con raffinata sensibilità, di luoghi ideali, di atmosfere. Racconta di una contemporaneità dove la dimensione sociale è resa cupa dal buio della notte e della progressiva reinterpretazione dello spazio fisico e di quello interiore. Bravi si fa così interprete di un viaggio musicale nella geografia e ne fa “strumento narrativo” utile a reagire al buio della quotidianità». «La notte – aggiunge Maggioli – è stata spesso una dimensione dimenticata della nostra vita, appartenente quasi esclusivamente alla sfera individuale e soggettiva. Spaziotempo a lungo trascurato, la notte (quella delle città ad esempio) è stata, nella contemporaneità pre-covid, sottoposta a pressioni e tensioni provenienti dal giorno. Investita in passato dagli emarginati o dagli artisti, la notte è oggi uno spazio-tempo dove i conflitti (intimi o collettivi) esplodono, dove il tempo continuo dell’economia e delle reti si contrappone al ritmo della città tradizionale mettendo in tensione individui, comunità, organizzazioni e quartieri della città “policrona”. In questa direzione, si è sviluppato negli ultimi anni un ambito di ricerca che va proprio sotto il nome di Night studies. In tempi di pandemia, la notte (e il buio) – continua Maggioli – sembra essere diventata condizione comune della nostra esistenza quotidiana in cui lo spazio abitativo ha per esempio sostituito spesso quello della socialità. L’interesse per il lavoro di Michele Bravi, il cui titolo del disco sembra quasi anticipatore della nostra condizione pandemica, risiede proprio in questa indagine sul buio in cui spazi fisici e intimi si sovrappongono a quelli pubblici e sociali, in cui le atmosfere dell’anima si associano a quelle “reali”».
Così il percorso di Bravi diventa un percorso collettivo. La geografia del buio è «un racconto – riprende il cantautore – attraverso la ferita del mondo. Una perdita di aderenza dal reale e il tuffo in un’oscurità che racchiude in sé la violenza della vita e riscopre nell’amore l’unica salvezza. Un amore che non combatte il male ma che aiuta a disegnarne la geografia ». Anche la pandemia diventa così un’opportunità per misurarsi con la «realtà», per cambiare «il nostro modo di guardare e di vivere». Bravi rilegge la prima traccia: «Saper distinguere e ascoltare, in mezzo a quell’assordante vuoto, la promessa che l’alba ci suggerisce tutti i giorni (“il nero si scambia con la luce della mattina”) è la forma di orientamento più grande per gestire il buio».
L’album si chiude con un brano strumentale, A sette passi di distanza, citando Gabriel García Márquez, che per descrivere la distanza geografica di due amanti che si rincorrono per una vita, scrisse: «Non erano a sette passi di distanza ma in due giorni diversi». Questo brano è stato la chiave di volta nel suo percorso di guarigione. «La prima canzone che ho scritto durante il silenzio e l’ultima che descrive gli spazi del mio buio. È un brano che ho sentito bisbigliare tra i tasti del pianoforte in salotto dopo che qualcuno mi aveva chiesto, in una lunga nota vocale, di tornare a parlare e soprattutto di tornare a cantare. La mia voce non si sente nel pezzo ma c’è, è solo nascosta ancora. Le mani che suonano il pianoforte sono le mie, incerte e timide».
Ad album finito, durante la pandemia, c’è anche un libro che aiuta Bravi a muoversi nella stanza: Diario di un dolore, di Clive Staples Lewis, 1961. Lewis riflette sulla perdita della moglie Joy e scrive: «L’afflizione si è rivelata non uno stato, bensì un processo». Il dolore è un processo. La geografia del buio si arricchisce di significato: «È un disco che non racconta uno stato, ma una storia, un percorso che narra di come si convive con il buio». Non è la ricerca della luce, ma la promessa dell’alba. E se nella notte non mancano le stelle, anche cadenti, sotto le quali esprimere un desiderio, Bravi canta: «Quando un desiderio cade, allora tu esprimi nuove stelle». Ci sono stelle e desideri, nel buio di Bravi. E nei drammi di tutti noi.