Anniversario. La "democrazia del popolo" secondo Luigi Sturzo
Don Sturzo (Istituto Luigi Sturzo)
Pubblichiamo in queste colonne ampi stralci del contributo di Maria Pia Garavaglia al volume Liberi e forti. Per una nuova politica a cent’anni dall’appello di Luigi Sturzo, curato da Alberto Mattioli e Pino Nardi per le edizioni In Dialogo (pagine 172, euro 16,00).
Nella prima parte del libro, “Chi era Luigi Sturzo”, Matteo Truffelli ripercorre la vicenda di Luigi Sturzo, protagonista e pensatore della politica del Novecento; nella seconda, “Le parole di Luigi Sturzo rilette nell’oggi”, vari interventi declinano il lascito sturziano. Gianni Bottalico si sofferma così su Federalismo, Europa, regionalismo e municipi; Marco Vitale su Sviluppo, statalismo e libertà economica; Rosy Bindi su Mafia e lotta alla mafia; Pierluigi Castagnetti su Popolarismo, popolo e partito; Maria Pia Garavaglia su Sturzo, né conservatore né progressista; Milena Santerini su Sfide della politica, sfide ai politici e Nicola Antonetti su Partiti, Parlamento, Governo: il progetto riformatore.
Completano il volume l’introduzione del curatore Alberto Mattioli, Un esempio attuale per capire l’Italia di oggi, e un corpus documentale, con in appendice i testi di Sturzo Ai Popolari d’Italia e Note e suggerimenti di politica pratica.
«Non è farina del mio sacco: devo tutto al Vangelo e alla Rerum Novarum». Questa affermazione di Luigi Sturzo sintetizza la sua storia politica, la sua vocazione a servire il bene comune. In tutto il suo agire, come ha testimoniato anche negli scritti, è stato guidato dalla fede, virtù cristiana, ma fondamento dell’amore al prossimo [...]. Nel centenario dell’appello A tutti gli uomini liberi e forti si può percorrere il cammino di Sturzo nel “fondare”, su principi che fossero pilastri di una costruzione democratica popolare, il popolarismo. Contrariamente all’assonanza – e anche alle malintese assimilazioni – il popolarismo è la negazione del populismo. Lo Sturzo che dovesse vivere in questo nostro tempo inorridirebbe per la strumentalizzazione che impera nell’attribuire l’attuazione di un “contratto di governo” alla volontà popolare [...].
Per lui la libertà può essere basata sulla verità. Questa nasce dalla realtà del popolo interpretato nei suoi bisogni a partire dal basso. Il popolarismo non riguarda la politica intesa come un’astrazione che discende da una tavola dei principi, e neppure l’organizzazione del consenso, piuttosto come la capacità di mobilitare e di organizzare le forze sociali. Non si spiegherebbe la battaglia di Sturzo per le autonomie se non in uno stretto legame con la società. È lo stesso fondamento della sua battaglia per la proporzionale, che non fu una battaglia tecnica, ma di libertà; la stessa per il suffragio universale e il voto alle donne.
Supera di botto ogni conservatorismo senza che possa essere frainteso e mescolato a un progressismo quasi sinonimo di “modernismo” che uno dei suoi Papi condannò (Pio X). Portare le masse cattoliche nello Stato dopo la fine del non expedit, dopo che furono mantenute e sentite estranee, non è stata una scelta alla ricerca del potere ma di servizio, scopo da realizzare con intransigenza morale per rendere forte la democrazia contro ogni tentazione demagogica. Ma Sturzo temeva anche i vizi che corrompono il sistema: denunciava profeticamente le tre male bestie della democrazia: statalismo, partitocrazia e sistema delle tangenti.
Combatté strenuamente in ogni momento, ma soprattutto nel secondo dopoguerra: era contro lo Stato produttore, imprenditore, banchiere. In sostanza, era contro l’ingerenza dello Stato in ogni attività dell’uomo, perché era un sistema che si poneva ai limiti della democrazia per la corruzione che innescava nell’apparato burocratico e nei po-litici, oltre che nella classe imprenditoriale. Sono note le prese di posizione, anche dolorosamente aspre, contro Giuseppe Dossetti e Alcide De Gasperi che, in tempi e modi diversi, sostennero un certo interventismo statale per superare le crisi sociali. Sturzo era convinto che senza un’autentica spinta liberale, si rischiava qualsiasi trasformismo. Sturzo visse la crisi dello Stato liberale del primo dopoguerra e quindi scriveva e “profetizzava” consapevole di quali danni creano le gabbie ideologiche. Era un liberale “classico”, come Luigi Einaudi, che dava valore al lavoro e all’impresa. Non poté assecondare il guardare a sinistra della Dc ed espresse la direzione che sarebbe stata ideale a sostenere il popolarismo nell’assunzione della responsabilità di governo in un articolo sulla rivista “Libéral”: «Il nostro centrismo non è equidistanza».
Il popolarismo sturziano cercava una terza via tra le forze politiche riformiste e quelle della reazione conservatrice e antidemocratica del fascismo. Nel secondo dopoguerra, caratterizzato dalla divisione del mondo in due blocchi, la terza via fu poi concretamente rappresentata da De Gasperi, successore di Sturzo alla guida del Ppi. Era la concezione di una “democrazia del popolo”, in cui ogni cittadino sceglie un partito e le persone che meglio lo rappresentano, con la valorizzazione dei corpi intermedi – prima fra tutti la famiglia e la ricchissima rete di associazioni sociali ed economiche – e autonomie locali fondate sul rispetto della dignità e, in forza di questa, sulla responsabilità di ogni cittadino. Il popolo è il soggetto per il popolarismo; per i populisti è un mezzo per celebrare la propria povertà ideale e rifugiarsi nel rigurgito più sprezzante dell’individualismo. Non l’interesse della comunità, ma quello degli interessi individuali di riferimento. L’individualismo non può essere accentuato a danno della società né una accentuazione socialista a danno dell’individualità. Così – continua Sturzo – dicasi di libertà e liberalismo, comunità e comunismo. Dopo la Rerum Novarum, la Quadragesimo Anno di papa Pio XI ha rafforzato i suoi convincimenti circa la libertà che ai cittadini viene assicurata anche con la libertà economica, che consente la proprietà privata, in funzione della libertà individuale, a favore dello sviluppo sociale, col sostegno delle forze sociali intermedie. Perché senza libertà economica non ci può essere libertà politica, né si potrebbe parlare di diritti individuali [...].
La libertà politica con l’esercizio della democrazia attraverso i partiti come luogo di dibattito e formazione del consenso. Diceva, da fondatore di un partito, che «i partiti servono a molte cose utili e vantaggiose per la democrazia meno che sostituirsi al Governo». Aggiungeva che gli eletti, che vengono votati sotto l’insegna del proprio partito, quando varcano la soglia del Senato o della Camera assumono una responsabilità morale e politica che li lega allo Stato. Quanta distanza con chi si affida a un “contratto”. Oggi è in grave crisi la forma partito, ma rimane sostanzialmente la struttura delle democrazie moderne. Il rapporto immediato tra eletti e singoli – la democrazia diretta – segnala non solo di essere un’utopia, ma la negazione della mediazione politica. Si pretende di assorbire ogni distinzione storicamente qualificata: non ci sono più destra e sinistra, conservatori e progressisti, perché i populisti sono sintesi di tutto e di niente.
“Profeta” davvero fu don Luigi Sturzo: gli eletti ex popolari e i cattolico-liberali portarono alla assemblea Costituente molte delle proposizioni della Populorum, come sostanza di norme ancora oggi solidamente alla base della nostra democrazia repubblicana. E siamo anche consapevoli che sono ancora in attesa di attuazione molte di quelle intuizioni pure sottostanti ai principi fondamentali della Carta del 1947. Gabriella Fanello ha usato un’espressione che mi ha sempre commosso: «Dall’esilio Sturzo non è mai completamente tornato». Tuttavia mi piace concludere con le parole del venerabile Luigi Sturzo: «Il primo insegnamento della mia vita e il più costante è stato quello di essere ottimista, cioè di sempre aver fiducia nella bontà che è al fondo dello spirito umano».