Agorà

Reportage. La croce sulla stele di Xi’an, testimone della fede in Cina

Stefania Falasca venerdì 30 agosto 2024

Particolare della parte sommitale della stele nestoriana di Xi'ana, con la croce siriaca

A una decina di chilometri dalle antiche mura di Xi’an, la Roma cinese, ci ritroviamo tra nuvole basse a salire una stradina lucida di pioggia nella verde e montuosa contea di Zhouzhi. In cima, attraversati i secoli, ci attende la bianca pagoda di Da Qin. È un viaggio nel tempo quello che ci porta qui, nella provincia di Shaanxi in questo remoto angolo della rotta che ha congiunto Oriente e Occidente. Da Roma fino a Xi’an, l’antica capitale di un impero un tempo conosciuta con il nome di Chang’an (Pace eterna), la città che segnava il punto più orientale dell’antico tragitto della Via della Seta. Un luogo millenario di storia nella Cina centrale. E anche di storia cristiana perché questa pagoda che si staglia ancora davanti a noi prima ancora di essere utilizzata dai buddisti è stata una chiesa cristiana, la più antica che la Terra di Mezzo abbia avuto. Venne eretta al tempo dell’imperatore Jinglong della dinastia Tang (VII secolo d.C.) assimilando i canoni architettonici locali dai primi cristiani giunti nell’Impero cinese proprio lungo la Via della Seta: i monaci dell’antica Chiesa siriaca d’Oriente, insediatisi in Cina già nella tarda antichità e che accanto alla loro chiesa-pagoda cristiana avevano costruito anche il loro monastero.

Siamo dunque nell’epicentro della prima diffusione del cristianesimo nel cuore del Celeste Impero. E questo è ciò che ha spinto studiosi e accademici cinesi e italiani a venire qui: la stele nestoriana di Xi’an, blocco monolitico di roccia calcarea, alto circa tre metri, che si erge proprio accanto alla pagoda sul dorso di una tartaruga, simbolo di longevità. Scritta in cinese e siriaco, la stele è la testimonianza archeologica dell’insediamento della fede cristiana in Cina, la più antica attestazione dell’arrivo del primo annuncio cristiano nella Terra di Mezzo per opera dei monaci missionari della Chiesa d’Oriente. La cui datazione è certa: Anno Domini 635.

La stele, eretta nel 781, coperta da 1750 caratteri cinesi e da 70 parole siriache descrive con precisione l’arrivo del cristianesimo. La parte frontale, sormontata da una croce, ne indica, infatti, con nove ideogrammi il contenuto: «Memoria della propagazione in Cina della religione della luce venuta da Da Qin». «Da Qin», “Grande Qin”, in lingua cinese indicava originariamente solo l’Impero romano, poi l’espressione fu utilizzata per riferirsi proprio alle comunità della Chiesa siriaca che si erano stabilmente insediate in Cina. Nella prima parte il testo presenta il cristianesimo, la sua dottrina e il bene che apporta alla vita personale e pubblica, fa riferimento alla Genesi, alla Croce, al Battesimo: è insomma l’esposizione dei punti fondamentali del cristianesimo con la narrazione della sua introduzione in Cina, mentre nella seconda parte viene descritto il favore che esso ha incontrato presso gli imperatori cinesi. Nel testo viene riportato esplicitamente il nome di Aluoben, il primo missionario proveniente dalla Persia che portò l’annuncio cristiano nella capitale dell’Impero. Il missionario attese tre anni dalle autorità governative l’autorizzazione per diffondere la Buona Novella. Poi nel 638, l’imperatore Taizong emise un editto in cui si diceva quanto segue, così come è scritto nella stele: «Il Grande virtuoso Aluoben, del regno di Da Quin è venuto da molto lontano per presentare le scritture e le immagini [della sua religione] nella nostra suprema capitale. Avendo esaminato attentamente la natura del suo insegnamento, abbiamo concluso che essi riguardano le esigenze fondamentali della vita umana e del suo perfezionamento. […] questo insegnamento conduce alla salvezza [tutte] le creature e da essa traggono benefici [tutti] gli uomini. Sia concessa, dunque, la sua diffusione nel territorio dell’impero; le autorità competenti costruiscano un monastero di Da Qin nel quartiere Yining della capitale».

L’editto imperiale, dunque, riconosceva e approvava la costruzione di un tempio con un monastero e l’ordinazione di ventuno monaci. «Il testo ci fa immediatamente apprezzare l’atteggiamento umile di proposta cristiana che viene riconosciuto dall’imperatore come “via luminosa”, Jingjiao, una definizione significativa – fa notare Roberto Catalano, dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano – accompagnata dall’editto che poteva essere esposto nel tempio cristiano a dimostrare l’approvazione imperiale».

Rimaniamo così a guardare la stele con l’incisione della croce di Cristo. Quella che osserviamo ora sotto la pioggia è una copia, la stele originale è custodita nel Museo della Foresta delle Steli a Xi’an ma questa che vediamo si trova nel punto esatto in cui venne riscoperta nel 1625. Ed è proprio per i 400 anni del suo rinvenimento che studiosi e accademici della Cina continentale si sono dati appuntamento ad un convegno di studi su quegli inizi della vicenda cristiana in terra cinese, poco noti non solo alle accademie d’Occidente. Promosso e organizzato dall’Institute of Silk Road Studies of Northwest University nel corso del convegno tenutosi a Xi’an intitolato: “Jingjiao Forum 2024 – Nuovi orientamenti, nuovi materiali storici e nuove scoperte”, hanno esposto le loro ricerche più di venti relatori provenienti da istituzioni accademiche della Cina Continentale, di Macao e dell’Italia e a cui hanno partecipato anche sacerdoti di diverse diocesi cinesi di Xi’an, Shangai e Pechino.

Alcune relazioni hanno fatto il punto sulle acquisizioni recenti delle ricerche archeologiche realizzate nei luoghi dove sorgevano presidi della Chiesa d’Oriente in Cina. Ricerche che permettono di ricostruire anche le prassi della vita di quelle comunità cristiane raccolte intorno ai monasteri. Il ritrovamento nei siti di oggetti appartenenti a epoche diverse – ha sottolineato Liu Wensuo della Università Sun Yatsen nella sua relazione dedicata agli scavi nel sito archeologico di Turfan -–mostrano che la presenza di sedi e comunità della antica Chiesa d’Oriente in Cina si è protratta per centinaia di anni. Le docenti Teresa Hou Xin dell’Università Wanli dello Zhejiang e Yang Hongfan dell’Università Normale del Fujian hanno documentato come la vicenda della Chiesa d’Oriente in terra cinese sia rimasta un punto di riferimento, un’esperienza storica percepita come Jingjiao… un “miracolo divino” a cui riallacciarsi per ogni autentico «nuovo inizio» del cristianesimo nella Terra di Mezzo. Come esperienza storica dunque in cui le comunità cristiane, portatrici di un annuncio di salvezza giunto dal Medio Oriente, nella terra di Confucio non venivano più percepite come espressioni di una “religione straniera”.

Un riconoscimento – ha chiarito nella sua relazione la professoressa Yin Xiaoping della South China Agricultural University – in cui si sono meritoriamente distinti soprattutto gli studiosi e i ricercatori dell’Università di Lingnan, solerti nell’attestare che quelle comunità avevano percorso strade feconde di adattamento al contesto cinese. Invece, la lettura applicata alla Jingjiao dalla storiografia e dalla pubblicistica fuori dalla Cina è apparsa a più riprese ambivalente. A partire dalla metà del XIX Secolo – come ha riferito nel suo intervento Paolo De Giovanni, docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – accademici occidentali misero anche in dubbio l’autenticità e l’esistenza stessa della Stele di Xi’an. C’era diffidenza per quel reperto storico che infrangeva «il mito della Cina refrattaria e chiusa», considerato che attestava l’opera di imperatori cinesi divenuti protettori dei cristiani.

«Potremmo dire che la stele rappresenta una sintesi teologica del cristianesimo in un contesto completamente diverso da quello originario: è una straordinaria “riformulazione cinese” del cristianesimo – ha fatto notare il preside della Facoltà teologica del Triveneto, don Andrea Toniolo nel suo intervento –. Il messaggio evangelico viene espresso in un linguaggio accessibile a destinatari appartenenti a una cultura totalmente estranea all’area semitica e greco-latina, impiegando termini e concetti in lingua cinese del taoismo e del buddhismo per esprimere le verità cristiane su Dio (Trinità) e sulla salvezza. Dal punto di vista teologico – conclude – questo viene chiamato “modello dell’incarnazione del Vangelo” nelle culture diverse, mostrandone la sua valenza universale». «Il cristianesimo a partire da questi primi missionari non è più rimasto estraneo alla grande cultura cinese – afferma Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano – la presenza dei monaci siriani ha segnato un incontro molto fecondo con il passato ma che certamente illumina il futuro».

«L’esperienza della Jingjiao può servire da ispirazione e riferimento per il dialogo oggi» ha ripreso Kin Sheung Chiaretto Yan, dell’Università di San Giuseppe di Macao. Questa esperienza poco ancora conosciuta – come è stato evidenziato – è certamente un annuncio e una testimonianza non solo e non tanto alla gente e ai popoli, ma fra la gente e in mezzo ai popoli. E come si legge nei caratteri incisi sulla stele del Settimo secolo: «Cento benedizioni sono emerse insieme… sotto la grande dinastia Tang la Via sta sorgendo e l’Insegnamento Luminoso soffia dentro l’Oriente».