«Gli ultimi saranno i primi». L’aforisma evangelico che funge da titolo al nuovo libro di Dominique Lapierre si può leggere con molte intonazioni: una profezia, una minaccia, un auspicio, un dato di fatto... E la crisi economica mondiale gli aggiunge il sapore di una «rivincita» che forse allo scrittore francese, famoso (oltre che per i suoi bestseller) per la pluridecennale attività a favore dei diseredati dell’India, potrebbe anche far piacere.
È così, monsieur Lapierre?«Per la verità, la crisi finanziaria in corso ha voluto dire anzitutto la drastica riduzione degli aiuti per i miei 14 centri umanitari. La proporzione è di uno a dieci: chi prima donava mille euro, adesso ne dà cento. E io ho bisogno di trovare, oltre ai miei diritti d’autore, un milione di euro per il bugdet 2012 dei 4 battelli ospedale, dei due milioni di tubercolosi curati, dei 50.000 bambini strappati alla lebbra, delle 150 scuole, dei 650 pozzi d’acqua potabile... Per me è un incubo permanente: forse finirò per vendere la casa, non so».
Ma che cosa pensa invece della crisi, che lei vede dal punto di vista delle bidonville indiane?«Appunto: vedo due Indie. Quella della
Città della gioia e quella ricca, dell’informatica e dei nuovi milionari... Faccio un esempio: in Francia stanno chiudendo gli altiforni della ArcelorMittal, colosso mondiale dell’acciaio che prende parte del nome da Lakshmi Mittal, un imprenditore indiano di Calcutta, sesto uomo più ricco del mondo. L’anno scorso ho saputo che il signor Mittal aveva appena comprato una casa da 70 milioni di euro a Saint-Tropez, a 5 km da me. Allora gli ho scritto una lettera di benvenuto: "<+corsivo>Welcome<+tondo> nel paradiso, nel posto più bello del mondo dove lei sarà felice. Quando verrà qui, per favore mi telefoni: vorrei vederla 5 minuti per informarla di quello che faccio in India, a casa sua"... Gli ho portato la lettera direttamente a casa, ma finora non ho ricevuto alcun cenno di risposta».
Eppure la religione indù predica la misericordia persino per le più piccole creature...Anche loro hanno fondazioni di beneficenza, però penso che mettano in atto una cecità selettiva: un indiano ricco non vuol sapere che ogni sera 800 milioni di suoi connazionali vanno a dormire con lo stomaco semivuoto».
E in Occidente non è lo stesso? È forse più facile aiutare un lebbroso di Lapierre che un senza-casa alla periferia di Parigi...«Forse sì, perché anche la carità ha bisogno di una dimensione "spettacolare"... La domanda è interessante. Le dirò che recentemente sono stato a una trasmissione della prima rete nazionale francese; 19 minuti alle 18 della domenica, 6 milioni di telespettatori. Ebbene, nei giorni successivi ho ricevuto più domande di aiuto che aiuti! Decine di lettere: "Signor Lapierre, lei che è tanto generoso, non può darmi una mano? Ho perso il lavoro, sono senza soldi...". È un segno: i francesi che chiedono aiuto per sé».
E lei?«Io rispondo a tutti, ma non posso dire altro che il mio dispiacere. In un Paese come la Francia esiste un sistema di sicurezza sociale che almeno garantisce a un bambino – anche se fosse un immigrato clandestino – di non morire perché non può ricevere cure. In India invece nulla di tutto ciò: se non lo facciamo noi, non lo fa nessuno».
Ma lei farebbe uno dei suoi progetti per i poveri dell’Occidente?«Il mio progetto per l’Occidente è scrivere libri per cercare di tenerlo sveglio, ed essere un testimone del nostro potere di cambiare le cose».
Il fallimento della Grecia: diciamo che l’Europa non sta mostrando molta solidarietà in proposito.«Sarà vero. Ma quando ho saputo che 50.000 greci defunti da 4 o 5 anni continuano a ricevere la pensione; che ci sono 100.000 falsi invalidi; che i miliardari greci si sono trasferiti nei paradisi fiscali e i deputati hanno alti emolumenti: allora, quale lezione ha dato al mondo questo sistema? Accettarlo è impossibile. Oggi gli abusi vengono al pettine, è triste per il popolo e credo lo si debba sostenere; ma occorre pure che i greci cambino. Queste cose vanno denunciate, prima di piangere».
Curioso: sembra di sentire parlare dell’Italia...«Non dirò mai abbastanza che in Italia trovo una qualità di solidarietà e di generosità unica nel mondo. Però l’assenza di senso civico alla fine conduce al fallimento. Per questo nella nostra azione umanitaria abbiamo stabilito regole drastiche: nessuno può prendere una rupia destinata ai poveri, e anche lì ci sono priorità (mi accerto sempre delle richieste che ricevo e degli usi che si faranno dei nostri aiuti). Il denaro corrompe, bisogna stabilire una morale assolutamente non negoziabile».
Basata su che cosa?«Una religione o la semplice coscienza morale, non importa: in questo non c’è differenza tra la cultura cristiana e quella indù. Anche in India la corruzione è divenuta un’abitudine a tutti i livelli, dai ministri ai cambiavalute. Io cerco di passarci attraverso, contando sulla mia presenza e sulle regole che ci siamo dati. Di recente un discepolo di Gandhi, Anna Hazare, ha fatto lo sciopero della fame davanti al Parlamento per chiedere una legge contro la corruzione; e i deputati l’hanno fatta, però alla condizione che loro stessi fossero esclusi...».
Altra analogia con l’Italia... Però le giovani nazioni come India e Cina fanno balzi in avanti nell’economia. Aiuteranno a vincere la crisi mondiale?«Quest’anno in India ci si lamenta della recessione perché si prevede una crescita "soltanto " del 7%, mentre l’anno scorso si era toccato il 9%... Da noi siamo su cifre dieci volte inferiori! Sì, queste giovani nazioni possono cambiare l’equilibrio del mondo, ed è bene: anche dal punto di vista del mercato. In Francia ad esempio le vendite dei grandi vini sono cresciute per merito dei cinesi ricchi, che possono comprare a 2000 euro la bottiglia».
Ma i loro popoli approfitteranno di questo benessere?«
Insciallah! Speriamo! In 50 anni di frequentazione dell’India ho constatato che – certo – molte cose sono cambiate, ma ancora ci sono 100 milioni di bambini che non entreranno mai in una scuola, e 200 milioni di indiani che non hanno accesso all’acqua potabile... È vero d’altra parte che 900 milioni di indiani possiedono il telefonino, strumento che ha cambiato la vita anche dei più poveri: basti pensare che oggi un contadino può chiamare la città per chiedere il prezzo del riso, sfuggendo così al monopolio dei commercianti che lo sfruttavano. Idem la televisione: finora agli indiani si insegnava che, se avessero rispettato il loro <+corsivo>karma<+tondo> di poveri "buoni", sarebbero rinati più ricchi; oggi invece sanno che non è vero. E se domani venisse un nuovo Gandhi violento, non vorrei trovarmi in India».
Nei suoi rapporti col terzo mondo, l’Occidente oggi è condizionato dalla paura. Per esempio qualcuno chiede di dare aiuti, ma a condizione che non ci sia emigrazione. Che cosa ne pensa?«Difficile rispondere. Quello che nel mio piccolo cerco di fare è proprio aiutare le persone a trovare i mezzi per sopravvivere a casa loro. L’India, l’Africa... Si tratta di territori straordinariamente ricchi; non hanno bisogno di emigrare in Europa. Se si dà alle persone la possibilità di vivere decentemente, si crea sviluppo. E questo vuol dire riconsiderare completamente il capitalismo».