Il personaggio. La coscienza di Zeman
Il professor Fabio, grande cultore della Primavera di Praga, lettore onnivoro di Milan Kundera, si trovò davanti a “una specie di massima evangelica”: «Dio creò il pallone, lo diede a Zeman e disse: “Vai a insegnare il calcio”». Comincia così l’affascinante ed esoterica sfida letteraria di Gianni Spinelli, nel suo gioiello narrativo: Il gol di Platone. Un viaggio romantico e appassionato intorno alla misteriosa “galassia Zeman”, scandagliata a fondo, passando dal campo artistico (confrontandolo e associandolo a Picasso), filosofico (Socrate, Locke, Rousseau e Kant), letterario (Dante, Leopardi, De Amicis, Pasolini, Brera, Soriano, Sciascia, Bufalino, Galeano e Acitelli), psicologico (Jung), cronachistico e di costume (Bene, Celentano, Albanese, Venditti: autore della canzone “La coscienza di Zeman”) fino ad arrivare a quello di calcio.
Un viaggio agiografico e geografico, dall’amato Sud fino a Nord, partendo dal «cielo senza nuvole di Palermo», per tentare di dare una spiegazione all’unico vero mistero degli ultimi 25 anni di storia patria del pallone: il boemo Zdenek Zeman. Una nuvola di fumo - che fuoriesce dalle cento sigarette che consuma quotidianamente -, l’anima di quest’uomo che, ben prima del “Galeano barese” Spinelli, aveva sedotto il principe degli irregolari del nostro ’900 letterario, Manlio Cancogni (classe di ferro 1916) che gli aveva dedicato il suo splendido romanzo storico, Il Mister (prima edizione Fazi, ripubblicato da Mursia). Lo Zoran di Cancogni, calato nella Roma degli anni ’30, era liberamente ispirato alla figura del signore delle panchine che conquista ed ammalia per i suoi silenzi ancestrali, per la sua teatralità che segue una regia occulta, pari a quella di Carmelo Bene o del maestro lituano Eimuntas Nekrosius.
Come un golem, Zeman si aggira per l’universo calcio in cui è adorato, temuto e spesso incompreso, per la sua complessità. “Zemanlandia” la favola nata a Foggia nell’anno della caduta del Muro di Berlino, 1989, riproposta e aggiornata nel 2007, con una successiva trasposizione in riva all’Adriatico - al timone del Pescara - , è diventata materia cinematografica nel saggio-docufilm di Giuseppe Sansonna: Due o tre cose che so di lui. Un anno con Zeman (Minimum Fax).
«Zeman è innamorato del proprio gioco assoluto, della propria anacronistica visione del calcio. Spesso sconfitta dalla cinica banalità del reale», la sintesi registrata di Sansonna che è in perfetta sintonia con l’opera di Spinelli che parte naturalmente dalle radici cecoslovacche del mistero-Zeman. L’arcano teosofico del figlio del professor Karel, luminare della medicina e pioniere delle tracheotomie, catapultato nella dimensione olimpica prima (pallamano e volley), e poi calcistica, con iniziazione compiuta dallo zio Cestmir Vycpàlek.
Lo zio “Cesto”, scampato al campo di sterminio nazista di Dachau, esule in Italia dove calcando campi sportivi divenne un piccolo eroe esemplare con la maglia della Juventus e del Palermo. Ed è nella città siciliana che grazie ai buoni uffici di zio Cesto, nel torrido ’68 sbarcò il giovane Zdenek, già innamorato del nostro campionato e delle magie di Gianni Rivera.
In un calcio illogico come quello odierno, sempre più popolato da spocchiosi allenatori-ragazzini, il nostro cervello di cristallo di Boemia, cominciò dalla polvere dei campetti del centro storico e della periferia palermitana. Dall’allora sgarruppata Kalsa alla funerea Cinisi, il paese del martire di mafia Peppino Impastato, sfiorando, ma ignorando con la sua essenza-assenza, uomini d’onore vicini al covo del boss Tano Badalamenti. L’unico capo per cui Zeman ha sempre detto di provare ammirazione infinita, è il grande capo indiano Brodmen, l’eroe silente quanto lui, di Qualcuno volò sul nido del cuculo.
Capolavoro cinematografico e film preferito del connazionale Milos Forman. Ultima proiezione vista al cinema, «non ci vado più da quando hanno proibito il fumo», ha rivelato a Sansonna ripercorrendo tra nubi di nicotina un passato da stratega di campo fatto di dogmatici 4-3-3. Quindi di onirici e realistici 5 a 4, rifilati e subiti dalle sue squadre. Spettacolo ludico, unico e irripetibile, che origina da una preparazione atletica fatta di massacranti eppure corroboranti (per il fisico e per lo spirito) «balzelli e millini»: le ripetute di corsa, cominciate con i su e giù dai gradoni del vecchio tempio foggiano dello Zaccheria.
Una pratica brevettata che agli occhi di uno stanco e ormai finale Gianni Brera pareva il piano estremistico di un «Tetro ginnasiarca, carceriere dello Spielberg». Una sentenza ingiusta quella di Gioannbrerafucarlo (la cui terra gli è stata lieve nel 1992), che ha avuto appena il tempo di osservare gli inizi della lunga e ancora vivida epopea zemaniana. La smentita: non c’è un solo ex allievo (anche l’ultimo dei panchinari) del maestro boemo che non serbi un ricordo memorabile dell’esperienza sportiva ed esistenziale vissuta al suo fianco. Anche in quei momenti bastardi e senza gloria, e ce ne sono stati nel suo percorso che da sempre va in direzione ostinata e contraria, emerge una trama che ha poco a che vedere con la realtà.
Così, in un quotidiano a volte arido come quello del pallone, il Kafka del football svetta dalla sua torre metafisica. Che è quella che gradone dopo gradone ha scalato Spinelli, il quale costeggia appena lo Zeman autarchico e pedagogico («Oggi i ragazzi stanno sempre più chiusi in casa, mummificati davanti a uno schermo a questo dannato Facebook. Ho la sensazione che non sappiano relazionarsi con il mondo esterno»), preferendo guidarci esclusivamente nella sua area platonica.
La zona grigia di quest’ultimo epigono del calcio di poesia e primo paladino pubblico del “calcio pulito” che nell’estate del 1998 (26 luglio) dalla sua caverna di Predazzo ruppe il silenzio per gridare: «Fuori il calcio dalle farmacie». Una lotta al doping quella zemaniana che è stata metafora di resistenza stoica a un sistema da sempre corrotto, manovrato dalle tante “murene itteriche” alle quali oggi, davanti al mare del Poetto (il Cagliari è l’ultimo approdo di mister Odisseo) con orgoglio può ribadire: «Io sono ancora qui nel calcio, Moggi no, è radiato». Forse senza le triadi maligne e le fameliche sirene depistanti, il grande sogno di gioventù di Zeman, allenare la Juve dello “zio Cesto”, si sarebbe potuto realizzare.
E quel sogno Spinelli, in coda al suo libro glie lo regala (anzi, ce lo dona), immaginando con la fantasia che, almeno sulla pagina ancora al potere, Zeman alla guida della Juve. Alla guida dei bianconeri gli farà vincere lo scudetto della stagione 2015-2016. Gli Agnelli commossi lo ringrazieranno e in libreria il bestseller dell’anno sarà Il 4-3-3 ha vinto, sottotitolo: “Un monumento chiamato Zeman”. Autore del libro? Lino Morettini, pseudonimo di Luciano Moggi? Chissà... Solo una cosa è certa, il mistero Zeman continua.