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Filosofia. La conoscenza debole e la vulnerabilità dei gruppi subalterni

Gianni Santamaria martedì 6 agosto 2024

Un donna indiana al lavoro in un cantiere di Bangalore

Guerra, disastri naturali, povertà, iniquità del mercato immobiliare. Sono molti oggi i fatti di ingiustizia che causano fragilità. O anche l’appartenere a una minoranza come quella delle donne afromericane. Come tutto ciò interpella la conoscenza e questa è solo una questione individuale, piuttosto oggi sempre più si intreccia con la politica ed è da essa influenzata.

«L’epistemologia sociale ha cambiato il modo di studiare la conoscenza in filosofia, rivelando che la creazione di conoscenza è principalmente un’attività sociale», ha detto la filosofa australiana Catriona McKenzie, presiedendo e introducendo la plenaria di eri al Congresso mondiale di filosofia sul tema “Vulnerabilità e conoscenza”. A intervenire sono state l’antropologa indiana Veena Das, docente alla John Hopkins University - i cui focus di ricerca sono violenza, urbanizzazione e vita quotidiana viste attraverso la filosofia e la letteratura dell’India e non solo - e la filosofa afroamericana Kristie Dotson, dell’Università del Michigan, esperta di epistemologia politica e Black feminism.

Das è partita dal concetto di «eccesso di conoscenza», per poi giungere attraverso una disamina di testi che vanno da Le vite degli animali di J.M Coetzee, nella quale il suo personaggio emblematico, Elisabeth Costello, paragona le uccisioni degli animali nei macelli con la Shoah (testo che ha scatenato molte discussioni, anche accademiche), al leggendario poeta Valmiki, ritenuto l’autore del poema epico sanscrito Ramayana. Un testo in cui si parla della morte di un uccello ucciso da un cacciatore su cui cade una maledizione. La femmina della coppia si lancia in un contorto lamento che parla di un elemento di espressione che viene prima del linguaggio.

Esempi di un mito che è ancora presente (Das ha citato la rappresentazione del poema Mahabharata da parte di Peter Brooks) e ha qualcosa da dire alla cultura di oggi, anche se molti storcono il naso se lo si ripresenta. Dalla parola scritta e dal mito alla storia vissuta il passo è conseguenziale. Das ha concluso parlando della reazione delle donne ai moti, costati migliaia di morti, seguiti all’assassinio di Indira Gandhi nel 1964, che a lungo hanno rifiutato di pettinarsi, lavarsi e rassettare le case per esprimere il loro dolore. Una proteste della vita quotidiana che interroga l’eccesso di conoscenza che abbiamo oggi, indotto dai media E che può servire a protestare contro i regimi e i sistemi violenti di oggi. «Penso che si tratti di scomporre le esperienze violente e di semplificare le idee complesse delle scienze sociali nella vita quotidiana. Il che spiega perché l’assorbimento dei miti potrebbe essere un modo per affrontare l’eccesso della conoscenza». La filosofia, dunque, può deludere, ma anche contribuire ad avviare una riflessione. «Nessuna ragione può spiegare i sentimenti feriti» di chi prova dolore per il destino degli animali «uccisi, ma forse il dolore di Valmiki, potrebbe esservi più utile di Kant».

Dotson è partita dall’insegnamento materno «sul grande impatto che hanno le storie, siano esse racconto delle origini o di raccontare il mondo». E sull’influsso vita su di lei da alcune femministe internazionali, come l’argentina Maria Lugones e la canadese Lee Maracle. Nel suo intervento Dotson ha portato storie che «vogliono indagare un momento di incertezza». Perché «fragilità epistemica significa rimanere bloccati, nelle nostre convinzioni sul mondo, dalle esperienze di vita. Significa essere fragili nel comprendere ciò che ci circonda. Siamo vulnerabili al fatto di non sapere tutto». Perciò «abbiamo bisogno di migliorare il modo di pensare per affrontare i diversi modi in cui la nostra debolezza intellettuale può essere influenzata nel parlare».

Dotson ha poi espresso il suo rigetto delle politiche che tollerano la repressione e la violenza sessuale sula donne nere. E come queste vengono rappresentate nei media (con molti riferimenti alla candidata per la Casa Bianca Kamala Harris). «Le donne nere sono spesso incolpate ingiustamente di varie cose. Sono spesso tenute a svolgere compiti impossibili e poi sono criticate quando non riescono». E questo non solo negli Usa. Ma per restare al suo Paese Dotson ha incalzato: «La vicepresidente Harris è stata accusata non solo di incompetenza ma di non avere le qualifiche necessarie per candidarsi alla presidenza, anche se è stata procuratore generale della California, membro del Senato e vicepresidente». Inoltre le donne afroamericane sono accusate di essere troppo sessualizzate. Valutazioni false che «creano una propria realtà» e «contribuiscono a plasmare molte interazioni delle donne nere negli Stati Uniti con persone e organizzazioni». Tanto che Dotson nelle sue discussioni con le femministe nere si è «imbattuta in affermazioni per la prima volta basate sulla paura». Molte erano talmente «ansiose da essere disposte a rinunciare a una presidenza Harris per un’impossibile protezione dalle critiche future».

Siamo, insomma, di fronte a una «debolezza della conoscenza» causata dalla «informazioni inutili che ci rendono meno sensibili». Dunque «abbiamo bisogno di migliorare le competenze filosofiche per aiutarci a gestire questa debolezza conoscitiva, che si è aggravata. Infine Dotson ha espresso una sua teoria sulla “decima volta”. «Forse in nove casi su dieci potremmo avere ragione, ma la decima si verifica di frequente - milioni forse miliardi di volte ogni ora - per le connessi sui social media, nelle quali interagiamo senza incontrarci faccia a faccia».

La logica non può aiutare in fatti irrazionale «non si tratta di proporre nuove teorie», ma ciò non significa che i filosofi siano «insignificanti». Anzi, «in questo momento sono molto importanti».

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