«Appartenevo a quella maggioranza di bambini, di ieri e di oggi, uniti nel proclamare che la chimica è "la più brutta delle scienze"». Il racconto è sorprendente: il professor Ettore Capri è oggi uno tra i maggiori chimici italiani. Insegna Chimica agraria all’Università Cattolica ed è esperto dell’Agenzia europea sulla sicurezza alimentare: lavora ogni giorno perché i residui di pesticidi non avvelenino il cibo e i terreni (e questo è uno dei settori d’avanguardia in cui la chimica interviene). Capri plaude alla filosofia della "chimica pulita" e proprio per questo esorta a non chiudere gli occhi nell’entusiasmo ambientalista, a non fidarsi troppo di chi si spaccia per amico della natura.
La sua storia di uomo di scienza rivela che la chimica le ha rubato il cuore in età matura. Perché da ragazzo questa disciplina le suscitava antipatia?«Prima di tutto i chimici usano termini complicati, oscuri per tutti tranne per chi ha studiato il latino e il greco. All’inizio ero soprattutto un bravo osservatore. Sin dall’età di 7-8 anni, mi stendevo sotto la chioma di un albero, o su uno scoglio. Passavo ore a seguire il comportamento degli organismi viventi. Cominciavo ad applicare il metodo della scienza. Così è nato poi il mio interesse per la chimica: sentivo la necessità di comprendere i meccanismi del fenotipo, cioè le espressioni fisiche di un individuo, osservabili a occhio nudo (mentre i suoi geni sono contenuti nel genotipo)».
Rilanciare l’insegnamento della chimica potrebbe essere una soddisfacente risposta all’Anno Internazionale che l’Onu ha dedicato a questa disciplina.«Penso che si debba ripartire proprio dalla scuola. A piccole dosi e dove si fa la scuola. Penso anche alle attività con i ragazzi, svolte nelle nostre parrocchie. La Chimica sarà pure una scienza severa, ma non è poi tanto più difficile di matematica, fisica, statistica, latino, greco. Bisogna appassionare i ragazzi dimostrando il ruolo sociale della chimica e quanto questa contribuirà al futuro del nostro Pianeta. E, perché no? Insegnare tutto questo in modo etico».
La chimica "green oriented" che ha il verde ecologico come punto di riferimento, dovrebbe catturare la simpatia dei ragazzi.«Sono scettico al riguardo. Non basta spiegare loro il significato di
green chemistry; è necessario eliminare i luoghi comuni attraverso un corretto percorso educativo. Deve partire dal corpo docente e raggiungere le famiglie. Le aziende chimiche sono attente, molto più di quanto si percepisca dall’esterno. Sembra che qualsiasi loro presenza o intervento nei mass media risulti controproducente».
Com’è il rapporto tra movimenti ambientalisti e imprese? «Come tutte le imprese, anche quelle chimiche sono accusate di pensare troppo ai propri interessi. C’è però simpatia per le aziende che si distinguono per la loro produzione eco-compatibile».
Una normale dialettica?«Dipende. È certamente giusto che le produzioni industriali che non danneggiano né la salute né l’ambiente siano economicamente convenienti per gli imprenditori; bisogna però riconoscere e intercettare le manovre raffinate di chi con il "verde" mimetizza affari sproporzionati. Un numero crescente di imprese, nel mondo, applica il
Green Washing ("lavare con il verde"): un’espressione lanciata negli Usa, negli anni ’80, quando i clienti delle catene alberghiere erano invitati a praticare il riuso di asciugamani e lenzuola. Si spendevano meno soldi in detersivi, ma le compagnie lucravano molti profitti in più. Ecco un caso in cui l’ambientalismo è un’utile copertura».
Come sono cambiate le regole di base dell’industria chimica? «L’incidenza di molte malattie e il degrado ambientale sono stati associati all’immissione di sostanze chimiche nell’ambiente. Inoltre l’industria chimica italiana è andata in crisi perché scalzata da quella tedesca, americana e asiatica. Tutto ciò spiega perché, a livello collettivo, la chimica sia rappresentata in modo fortemente negativo. Ma è bene ricordare che in Europa le sostanze chimiche sono accuratamente controllate all’origine, durante il commercio e durante il potenziale contatto con l’uomo. Tutto ciò è possibile grazie al più restrittivo sistema di regole esistente in Europa, che ha eliminato dalla distribuzione le sostanze chimiche rischiose».
La chimica "pulita" nel settore agricolo è ancora un sistema di regole di principio oppure ha già introdotto innovazioni tecnologiche?«Partirei dai nuovi polimeri biodegradabili e dalle nuove formulazioni di agro-farmaci. Vengono applicati nel settore alimentare e agronomico. Permettono di proteggere gli alimenti e le colture e poi scompaiono senza alcun impatto ambientale».
Come cogliere tutti i vantaggi offerti dall’Anno internazionale?«Nel 2010, l’Anno sulla Biodiversità è stato efficace. Lo sarà anche questo dedicato alla chimica. È necessario che s’instaurino forum di discussione, che coinvolgano le scuole e le organizzazioni non governative nei vari
think tank nazionali ed europei. Le attività ristrette alle società scientifiche e alle associazioni industriali lasciano il tempo che trovano. Vanno finanziate iniziative coerenti che raggiungano i principali portatori d’interesse: i cittadini».