Architettura. La Chiesa, ultima vera committente
Rendering del complesso parrocchiale di Simeri Mare
E' recente la demolizione di una delle Vele di Scampia. Ma queste, oggi criticate quale luogo di degrado, sul piano strettamente architettonico sorsero come capolavori e il loro progetto uscì vincitore da un concorso indetto nel 1962. Dunque perché son poi risultate così aborrite? I concorsi sono gestiti da esperti e rispondono ai requisti tecnici ed estetici dell’architettura. Ma gli edifici dovrebbero anzitutto essere graditi a chi li userà e dovrà occuparsene, altrimenti questi, com’è accaduto con le Vele, magari li occuperanno ma senza occuparsene: un aspetto che i concorsi di solito non considerano. Lo fanno invece quelli gestiti dalla Chiesa italiana, che ha maturato negli ultimi decenni una particolare esperienza al riguardo. Già in passato la Chiesa è spesso ricorsa ai concorsi: per esempio Brunelleschi vinse quello indetto nel 1418 a Firenze per la cupola di Santa Maria del Fiore, e Maderno vinse nel 1606 quello per la facciata di San Pietro in Vaticano. Ma se un tempo si imponevano desideri e gusti dei vescovi e degli uomini di cultura che li attorniavano, in questi ultimi decenni si sono sperimentate in successione diverse forme concorsuali volte via via a ottenere una sempre più matura condivisione. Se dal secondo dopoguerra, con l’affanno della ricostruzione, la realizzazione di nuovi edifici di culto era affidata in prevalenza su base discrezionale e dava a volte risultati non soddisfacenti, in vista del Grande Giubileo del 2000 subentrò il desiderio di ricorrere al sistema dei concorsi per ottenere nuove chiese di qualità paragonabile a quelle del grande passato.
Nell’ambito dell’iniziativa chiamata “50 Chiese per Roma 2000”, intesa a dotare di un vero centro parrocchiale le periferie della capitale che ne fossero carenti, nel 1993 fu indetto un primo concorso di idee aperto: chiunque lo desiderasse poteva sottoporre una proposta per uno di due centri parrocchiali di Acilia e Tor Tre Teste. Parteciparono oltre 500 studi di architettura ma la giuria non ne trovò che uno meritevole: quello presentato da Bruno Bozzini per Acilia. Evidentemente il concorso di idee aperto era troppo macchinoso: eccessivamente numerosa la partecipazione, molto difficoltoso il vaglio degli elaborati. Che spesso mancavano dei requisiti adeguati per l’edificio chiesa che è quanto di più complesso vi sia poiché include aspetti funzionali, simbolici, liturgici. Quell’esperienza suggerì di indire, per ottenere un progetto adatto per Tor Tre Teste, un concorso su inviti, rivolto solo a professionisti notoriamente capaci. Questo fu bandito nel 1994 e furono chiamate sei archistar internazionali: Tadao Ando, Gunter Behnisch, Santiago Calatrava, Peter Eisenman, Frank Gehry e Richard Meier. Vinse quest’ultimo e la costruzione fu completata nel 2004: un’eccellente architettura, ma da molti considerata non totalmente consona per la chiesa, e carente sul piano liturgico. Meier evidentemente non aveva letto la Nota pastorale redatta dalla Conferenza episcopale italiana nel 1993 su “La progettazione di nuove chiese” in cui si indica come procedere per concepire un luogo di culto in epoca postconciliare: il primo autorevole documento di tal fatta, dai tempi delle Instructiones postridentine pubblicate da Carlo Borromeo nel 1577.
Fu sullo sfondo di tali avvenimenti che a partire dal 1998 l’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Cei istituì i Progetti Pilota: una serie di tre concorsi coordinati intesi a selezionare in ogni edi-È zione progetti per tre diocesi situate nelle tre macroaree dello Stivale, il Nord, Centro e il Sud. “Pilota” perché intesi a indicare un cammino esemplare: i concorsi erano coordinati dall’Ufficio nazionale, ma gestiti insieme con le Diocesi e con la partecipazione di esponenti degli Ordini professionali, sia nell’individuazione dei progettisti da invitare, sia nella selezione del vincitore. Una modalità concorsuale che ha dato frutti di qualità quali il nuovo centro parrocchiale di Zivido di San Giuliano Milanese, firmato da Gabetti e Isola, vincitori della prima edizione per il Nord. E altri più discussi, quali quello per il centro parrocchiale di San Paolo a Foligno progettato dallo Studio Fuksas, vincitore per il Centro dell’edizione 2000. Col tempo è parso evidente che fosse necessaria una maggiore partecipazione delle comunità: e queste state sempre più coinvolte.
Al punto che ora, col nome di “Concorsi diocesani”, i processi di scelta durano parecchi mesi e cominciano con l’ascolto dei desideri e dei sentimenti dei parrocchiani e con un’attenta analisi della storia del territorio e delle sue presenze architettoniche, così che il nuovo non risulti estraneo all’esistente. Un dialogo ampio in cui entra in gioco il patrimonio di tradizioni di ciascuna singola parrocchia. Una volta selezionato, su base dei curricula poco più di una decina di gruppi che garantiscono una progettazione partecipata (composti da architetti, artisti, tecnici e un liturgista) si attivano gli incontri con popolazione. Per esempio, per il concorso per Rizzìconi nella piana di Gioia Tauro, aperto nel novembre 2018 e concluso nell’estate 2019, il dialogo è stato curato da un gruppo di giovani che hanno ascoltato i desideri dei parrocchiani, li hanno informati su come apprezzare l’architettura contemporanea, e hanno rievocata la tradizione delle processioni verso l’antica cappella di S. Teresa del Gesù. Questo è il tipo di impegno a garanzia che i nuovi edifici saranno proprio come le persone li sognano.