Reportage. La Buenos Aires dei poveri: murales, rap e “Fratelli tutti”
«L’arte trasforma. Non è un modo di dire, te lo mostro». L’auto si ferma all’entrata di Puerta de Hierro, nel cuore di La Matanza, il più affollato e difficile degli sterminati sobborghi nella cintura urbana di Buenos Aires. Roberto Rodríguez si muove con naturalezza, è cresciuto qui. «Guarda questo incrocio, ora è pulito, ci sono ragazzini che giocano a palla. Non era così. Era tutto pieno di pattume. La gente veniva a buttarci i rifiuti e le bande lasciavano i cadaveri. Poi…», dice indicando con l’indice il muro di fronte, dove spunta la sagoma di papa Francesco. Il Pontefice stende la mano quasi volesse accarezzare, le labbra sono dischiuse come se stesse pronunciando le parole scritte a fianco: “Terra, casa, lavoro”. «Da quando abbiamo dipinto lui, le cose sono cambiate. Nessuno butta più la spazzatura o peggio. È una forma di rispetto. E potrei farti mille esempi analoghi. Tanti quanti i murales che abbiamo realizzato».
Alcuni dei murales realizzati dal gruppo Cruz del sur nelle “villas miserias” attorno a Buenos Aires - Lucia Capuzzi
Roberto ha dedicato gli ultimi 18 anni a ridipingere – in senso letterale – il volto delle baraccopoli della capitale o “villas miserias” insieme a Flavia Barreiro, Damián Capola e Diego Vázquez. «Siamo tutti di La Matanza ma ci siano conosciuti nella villa 21 dove collaboravamo con la parrocchia di padre Pepe Di Paola, uno dei sacerdoti della vicaria delle baraccopoli creata dall’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio». L’idea è venuta quasi per caso. «Era appena iniziato il boom del “paco”, lo scarto della cocaina che, invece di buttare via, i narcos spacciano ai disperati. C’era molta violenza nella villa. Padre Pepe sapeva che disegnavamo e, un giorno, ci ha detto: “Perché non proviamo a rendere meno cupo l’ambiente con un po’ di arte?”. Abbiamo scelto uno dei tanti vicoli maleodoranti e ci siamo messi all’opera. Pensavamo che gli affiliati alle bande ce lo avrebbero impedito o avrebbero distrutto il mural. Quando si sono presentati, con fare minaccioso, abbiamo proposto loro: “Se ci lasciate terminare la Madonna di Caacupé, di cui sono molto devoti i paraguaiani immigrati nella villa, facciamo anche Maradona”. E abbiamo mantenuto l’impegno».
È nata così, nell’inverno del 2006, Cruz del sur, la squadra di “pittori delle villas”. Un gruppo in continuo aggiornamento perché ai veterani si aggiungono i nuovi, grazie ai corsi offerti ai ragazzi nel quartier generale di La Matanza. «Perché l’arte trasforma. I luoghi e le persone». Nella palazzina a due piani, coloratissima, si svolgono laboratori di pittura, ovviamente. Ma anche musica, ballo tradizionale, informatica. «Mio fratello ha scoperto qui il primo pc. E ora si sta laureando in informatica», racconta Brisa, ex allieva diventata insegnante di disegno. Anche lei spesso partecipa alla realizzazione dei murales disseminati ovunque nelle quasi duemila villas di Buenos Aires e dintorni.
Alcuni dei murales realizzati dal gruppo Cruz del sur nelle “villas miserias” attorno a Buenos Aires - Lucia Capuzzi
I soggetti sono i più disparati: san Cayetano, patrono del lavoro e dei poveri, il vescovo-martire Enrique Angelelli, i sacerdoti che difesero le baraccopoli all’epoca dell’ultima dittatura militare, ma anche le stelle del calcio, la voce della cultura popolare Mercedes Sosa, il fazzoletto delle Madri di Plaza de Mayo, Evita. «Non si tratta di mescolare sacro e profano. Rappresentiamo quanti gli abitanti delle baraccopoli considerano vicini. Quella che proponiamo è un’estetica della speranza che aiuti le persone a non arrendersi di fronte all’esclusione e alle difficoltà. Papa Francesco è una delle immagini più richieste: gli abitanti delle baraccopoli sentono una sintonia immediata nei suoi confronti. Anche se non può più venire fisicamente a trovarli come faceva prima, sanno che non li ha dimenticati e continua a impegnarsi per loro e tutti i poveri del pianeta».
Vestito di bianco, con la sciarpa del San Lorenzo o con la valigia dei viaggi, il Pontefice argentino è ormai un “villero” onorario. «Francesco riesce a trasmettere concetti profondi con una semplicità disarmante. Ha il coraggio di andare dritto al cuore delle questioni senza abbellire il discorso con orpelli o giri di parole. Per questo i suoi messaggi sono tanto forti. I “marginali”, con meno potere e privilegi da perdere, fanno meno fatica a coglierli. Non solo i credenti…», spiega Santiago Barassi, ideatore, insieme a Néstor Borri, di “Fáctor Francisco”, piattaforma di comunicazione nata cinque anni fa per promuovere un dialogo all’interno delle varie componenti sociali a partire dal magistero di Jorge Mario Bergoglio. Cogliendone gli spunti, approfondendone le provocazioni, scavando sugli interrogativi da lui lanciati.
Alcuni dei murales realizzati dal gruppo Cruz del sur nelle “villas miserias” attorno a Buenos Aires - Lucia Capuzzi
«La sua testimonianza, fatta di parole e gesti, è terribilmente contemporanea perché dà voce ai drammi, alle lacerazioni, alle attese che agitano il presente – afferma il sociologo, attivista di Nueva Tierra, storico centro di riflessione ecclesiale e culturale -. In questo senso, Francesco è pop. Quello che cerchiamo di fare è di riprenderne il messaggio con un linguaggio “adeguato”». Ovvero dirompente, creativo, a volte ardito, sempre rispettoso utilizzando i differenti mezzi: podcast, audiovisivi, messaggi social, graffiti, oltre ai libri: “Recomenzar” e “La gran conversación”. «Non si stratta di raccontare cose nuove. Bensì di tornare a raccontare la più bella storia del mondo, la Buona notizia, in un modo comprensibile alle donne e agli uomini di questo tempo. Francesco diventa, dunque, occasione di evangelizzazione. Qualcosa di ben diverso dal proselitismo. Lo sforzo è quello di mettere in dialogo l’essere umano con il Vangelo, consapevoli che siamo “Fratelli tutti”. In questo, il Papa è maestro».
Il linguaggio della fraternità penetra con particolare forza nelle villas: dove lo Stato latita, gli abitanti sperimentano l’importanza dell’unione per affrontare le sfide quotidiane. «Siamo uniti sorelle e fratelli nell’esprimere quanto sentiamo, come viviamo, illuminiamo il cammino, aiutando gli altri», canta Juan José Bataglia in arte Juan Doble H, uno dei 19 rapper di 18 differenti villas della cintura urbana di Buenos Aires che costituiscono la rete “Haciendo rap juntxs” (Facendo rap insieme). «Un racconto corale della periferia urbana con sua voce e il suo linguaggio più emblematico: il rap», spiega Martín Biaggini, ricercatore dell’Università nazionale Arturo Jauretche e direttore dell’iniziativa. Una narrazione puntellata di luci, senza nascondere le ombre. «Il rap per me è un canto di resistenza – dice Juan Doble H -. Da soli, però, non si può. Per questo ho scritto quei versi in “E’ la mia strada”. All’inizio non capivo come mi fosse venuto. Riflettendoci mi sono reso conto che a ispirarmi era stato papa Francesco con la sua “Fratelli tutti”…».