Intervista. L'ultimo tuffo di Tania Cagnotto
Con un papà e una mamma specialisti nei tuffi è normale che la piccola Tania sia cresciuta a pane, burro e... trampolino. Se la sua avventura nel mondo dello sport era cominciata da figlia d'arte intenta a ripercorrere le orme dei genitori, il suo congedo avviene da tuffatrice italiana più forte di sempre. Tania Cagnotto saluta e se ne va da numero uno della classe. Servivano titolo iridato e medaglia olimpica per chiudere il cerchio: ottenuto il primo ai Mondiali di Kazan 2015 e la seconda ai Giochi di Rio 2016, la trentunenne (compirà 32 anni lunedì) bolzanina può appendere serena il costume al chiodo. Magari un giorno ci ripenserà, tornando a disegnare in aria opere d'arte sopraffini in pochi secondi.
Adesso però la fresca signora Parolin (a settembre ha sposato il suo Stefano all'isola d'Elba) pensa ad altro, non prima di aver salutato la compagnia. Se il suo primo tuffo ufficiale si perde nella notte dei tempi, l'ultimo, da un metro, avrà una data precisa (oggi pomeriggio) e un evento da tutto esaurito a bordo vasca: i campionati italiani a Torino, guarda caso la città natale di papà Giorgio. In mezzo due medaglie olimpiche, dieci mondiali e 29 europee: scusate se è poco.
Tania, con che spirito affronta l'ultimo impegno agonistico della sua lunga e gloriosa carriera?
«Sarà una gara che prenderò con leggerezza, senza stress. Voglio godermi la giornata, considerandola un momento per ringraziare il pubblico che mi ha seguito in tutti questi anni».
Avrebbe immaginato da piccola un copione come quello che ha "recitato" sin qui?
«Assolutamente no. Sognavo e desideravo di mettermi al collo la medaglia olimpica, ma non mi sarei mai aspettata di fare quello che ho fatto».
Quanto è stato condizionante essere una figlia d'arte?
«Mamma Carmen e papà Giorgio mi hanno aiutato moltissimo, ma non mi hanno fatto mai sentire il peso di essere una predestinata».
Oltre all'odore del cloro cosa le mancherà del mondo dei tuffi?
«Tante cose. Innanzitutto l'essere sempre con una valigia pronta per poter partire per le gare. Poi l'avere costantemente nella testa un obiettivo fisso e ben preciso. Quindi mi mancheranno, lo so già, gli allenamenti con i compagni di squadra. È stato bello essere un'atleta».
Se ripassa mentalmente tutte le sue sfide quale rimarrà la gara memorabile?
«Due in particolare: quelle di Rio e Kazan. In Russia sono salita per la prima volta sul gradino più alto del podio nella gara da un metro. In Brasile ho coronato il sogno che avevo da bambina: mettermi al collo la medaglia a cinque cerchi».
E il tuffo più complicato?
«L'avvitamento avanti nella finale olimpica di Rio. Era il mio tallone d'Achille e stavo davvero male per la tensione prima di eseguirlo. L'entrata in acqua è stata una liberazione».
Il momento più bello e il più brutto?
«Non ho dubbi. Il top è stato il giorno in cui con Francesca (Dallapè, ndr) abbiamo conquistato la medaglia d'argento nei tuffi sincronizzati a Rio. Il punto più basso era stato quattro anni prima a Londra, quando nella gara individuale la medaglia di bronzo è sfumata per 20 centesimi di punto».
Dopo quel "trauma" aveva meditato il ritiro...
«Vero, al ritorno a casa volevo mollare tutto e fare altro. Poi ho capito che sarebbe stato l'errore più grande della mia vita, perché l'unica cosa che poteva farmi stare meglio in quel momento era riprendermi un risultato».
Ha partecipato cinque volte ai Giochi olimpici. Un flash su ognuna di queste avventure?
«Sydney 2000 è stato un parco giochi per bambini. Atene 2004 la meno bella, Pechino 2008 affascinante, Londra 2012 un incubo, Rio 2016 quella che non si scorda più».
Cosa ci sarà nel suo futuro professionale?
«Mi piacerebbe trasmettere ciò che ho imparato ai giovani, così da non disperdere un ricco patrimonio di conoscenze e di esperienze».
Si vedrebbe quindi come allenatrice?
«Molto, confesso... - sorride - ».
Che consiglio darebbe a una bambina intenzionata ad imitare il suo percorso per diventare Tania Cagnotto?
«Di avere tanta pazienza, di divertirsi in piscina e di non volere tutto e subito».
Dal suo esordio fino ad oggi i tuffi sono cambiati, ma in meglio o in peggio?
«Le novità sono state positive, dalle tecniche alla preparazione atletica, fino dalla notorietà della disciplina. La cosa che ho avvertito di più col passare degli anni è stato il crescente interesse dei media nei miei confronti».
Cosa proporrebbe per rendere il suo sport più interessante?
«Rimetterei i tuffi obbligatori nelle semifinali, poiché sta diventando troppo difficile ripetere per tre volte il programma completo».
Le tuffatrici cinesi sono davvero imbattibili?
«In passato una volta le ho battute ed ho provato la soddisfazione più grande che una tuffatrice possa desiderare. In futuro si vedrà, ma penso che si possano battere, nessuno è davvero invincibile, tanto meno nello sport».
Se potesse tornare indietro, cosa non rifarebbe?
«Onestamente rifarei tutto. Forse avrei voluto fare una gita scolastica con la mia classe. Quella mi è mancata».
Francesca Dallapé ha partorito da poco, è tra i suoi progetti futuri diventare mamma?
«Certamente, prima però mi godo un po' la vita».