Tecnologia. L’Odissea delle intelligenze artificiali
John William Waterhouse, "Ulisse e le Sirene", particolare
Wittgenstein ci ricorda nel suo Tractatus che «i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo». E forse questo è mai come oggi vero se guardiamo ai diversi tentativi di descrivere e comprendere le intelligenze artificiali (AI) nella loro natura e nel loro impatto sul capire e capirsi dell’uomo. Si tratta di trovare parole e linguaggi per “addomesticare”, parafrasando Gadamer, queste nuove macchine di linguaggio. Dobbiamo, in buona sostanza, trovare una corretta ermeneutica delle AI.
Uno dei modi che nel tempo abbiamo utilizzato per rispondere a questo tipo di domande è il mito. Il mito, una narrazione che “sposta fuori dal tempo” le risposte alle nostre paure, alle speranze e ai desideri più profondi, da forma a una “tecnologia sociale” che orienta il vivere collettivo e le relazioni sociali.
Questa funzione chiave del mito è ben sintetizzata da Pietro Boitani nei suoi studi su Ulisse: «Il navigatore protagonista dell’Odissea, del canto XXVI dell’Inferno di Dante e di mille altre storie […] non è mai esistito nella realtà. È esistito, invece, come mito, sul piano del non essere. Tuttavia, il mito è sufficiente a dar forma al reale e soprattutto, nei miti di fondazione, a un’identità». In queste parole compare tutta l’essenza del mito: la figura mitica di Ulisse che, senza essere mai esistito, senza esistere ci bastò (Fernando Pessoa, Ulisse), ha contribuito a creare la mente di un intero popolo, ha fornito una identità, istruisce un noi che ci consente di vivere questa condizione umana di ricerca di senso. Il mito, una sorta di complesso tecnologico costruito con gli artefatti linguistici, è traccia di quella dimensione di ricerca di senso propria della nostra specie.
Possiamo allora trovare nell’Odissea suggestioni per “addomesticare” le AI? Una prima suggestione ci viene dall’intelligenza di Ulisse. Guardando allo strato omerico del mito – non abbiamo qui modo di rileggere la cosa nelle diverse interpretazioni di Ulisse nella storia – l’intelligenza/astuzia di Ulisse è descritta con un termine specifico. I Greci hanno distinto l’intelligenza attiva ed esecutrice – metis – da quella inattiva e contemplante – nous –. Ulisse è l’eroe dalla mente accorta – polymetis –. Forse proprio qui troviamo parte di quel linguaggio che a noi manca. Non abbiamo questa distinzione linguistica per differenziare le forme di intelligenza e forse troppo spesso nel dibattito pubblico confondiamo o non riusciamo a distinguere tra un uomo che esiste e la macchina che funziona. Ulisse ci può fornire chiavi per renderci avveduti di come l’AI che trova per noi soluzione ai problemi sia di fatto una forma di metis che porta con sé, a volte, anche il dolos – inganno – come suo frutto naturale. Ma Odisseo, nella rilettura dantesca, ci ricorda il compito di non viver come bruti e che quindi, per rimanere in questa chiave di lettura, all’uomo spetta di stare al mondo seguendo il nous.
Una seconda suggestione ci viene da uno degli incontri del viaggio di Ulisse: Odisseo è tentato dalle sirene che si presentano dicendogli: «Noi conosciamo tutto ciò che succede sull’alma terra». Le AI sono anche costantemente minacciate dalle sirene dei dati che si presentano come una promessa di conoscenza sul tutto ma che a volte inducono il dolos dei bias facendo naufragare i naviganti conducendoli in vie pericolose che fanno perdere la meta. Questo viaggio avviene in forza di un passato registrato – i dati – che si fa nostalgianel presente. Seguendo l’etimo greco della parola composta da nostos – ritorno – e algos – dolore –, abbiamo un suadente canto della predizione del futuro nascosto nei dati che cela il dolore di un ritorno impossibile al passato dal quale lo vogliamo trarre.
Una terza suggestione ci viene dal ricordare che l’Odissea racconta il dramma di un guerriero che deve tornare a casa, deve passare dalla guerra alla famiglia: l’Odissea è questa battaglia interiore nel passare da un’esistenza come conflitto alla pace. Le AI sono strumenti che mai come oggi si mostrano nella loro capacità bellica, Ulisse ci ricorda la fatica e il combattimento per trasformare le spade in aratri e le lance in falci (Isaia 2,4) e diventare uomini di pace. In questo viaggio di “addomesticamento” delle AI, in questa Odissea della tecnica, il mito allora ci ricorda che «Itaca ti ha dato il bel viaggio, / senza di lei mai ti saresti messo / sulla strada: che cos’altro ti aspetti? / E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. / Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso / già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare» (Kostantinos Kavafis Itaca) e che a noi spetta di continuare, nell’ombra di Ulisse, a cercare il senso del nostro vissuto.