Si entra alla Buchmesse, si guarda il nuovo stand collettivo degli editori italiani e si pensa che no, il problema non è mai stato il piano nobile. Storia antica, anche se è passato solo un anno. Nel 2015 il fatto che una rampa di scale separasse i libri del nostro Paese da quelli usciti in Francia sembrava la ratifica di un declassamento. Non era così, e a dimostrarlo è il nuovo allestimento italiano per l’edizione 2016. Arredo più accattivante, qualche invenzione grafica e, soprattutto, suddivisione razionale tra la batteria di postazioni assegnate ai singoli editori e l’area antistante, nella quale è esposta la produzione delle regioni che hanno aderito all’invito dell’Aie (Associazione italiana editori). Per ora sono due, Lazio e Piemonte, in futuro si vedrà. Non mancano gli stand dei gruppi principali, da Giunti a De Agostini, da Gems a San Paolo. Anche Mondadori, che l’anno scorso aveva clamorosamente rinunciato a un proprio spazio, ritorna in grande stile. Un anno non è passato invano, dunque. «Il posizionamento in fiera è una forma di comunicazione – commenta Enrico Selva Coddè, amministratore delegato di Mondadori – e a noi in questo momento premeva rappresentare con la massima evidenza l’assetto che deriva dall’acquisizione, ormai compiuta, di Rcs Libri». Il più soddisfatto, ora come ora, è il presidente dell’Aie, Federico Motta. A pochi giorni dal lancio di Tempo di Libri, la fiera milanese promossa dall’Aie in sostanziale concorrenza con il Salone di Torino, a Francoforte Motta si mostra a suo agio come regista di un rilancio che punta anzitutto a rafforzare la presenza dell’editoria nostrana sulla scena internazionale. Non per niente a inaugurare il nuovo stand non è un rappresentante dei Beni culturali (nelle settimane scorse il ministro Franceschini aveva tentato, senza successo, di operare una mediazione tra la fiera di Milano e il Salone torinese), ma il sottosegretario allo Sviluppo economico Ivan Scalfarotto: è questo dicastero, infatti, che attraverso l’Ice ha reso possibile che la spedizione italiana a Francoforte assumesse la consistenza attuale. Un investimento di circa 500mila euro, al quale vanno aggiunti i 200mila euro stanziati dall’Aie. «Siamo un’associazione di categoria – rivendica Motta – ma ci consideriamo anche una realtà istituzionale e cerchiamo di agire in questa prospettiva». Sarà perché alla Buchmesse di quest’anno l’ospite d’onore è l’Olanda, ma il paragone che viene in mente è quello con la Compagnia delle Indie, impresa di commercianti con mentalità da politici. Nonostante l’apporto ministeriale, del resto, l’impressione è che gli editori non debbano rinunciare a una certa intraprendenza. Il Governo incoraggia e apprezza, ma di una legge- quadro sul libro, a quanto pare, ancora non si parla. «La sovrabbondanza e la sovrapposizione di normative non favorisce di certo il nostro lavoro – ammette Motta –. In attesa di un riordino complessivo della materia, un aiuto concreto verrebbe dalla detraibilità delle spese sostenute dalle famiglie per l’acquisto dei testi scolastici. E dei libri in generale, mi verrebbe da aggiungere, ma forse è chiedere troppo». Un’altra questione aperta è quella relativa al finanziamento delle traduzioni di opere italiane all’estero. Settore strategico, visto che tra i dati diffusi ieri dall’Aie il più incoraggiante riguarda proprio la diffusione dei nostri titoli sul mercato internazionale: nel 2015 l’incremento è stato dell’11,7% e i primi segnali provenienti dalla Buchmesse sembrano consolidare la tendenza (Einaudi annuncia di aver venduto già in 22 Paesi i diritti del nuovo romanzo di Paolo Cognetti,
Le otto montagne). «Tradurre non basta», ribatte Pietro Marietti, presidente di Atlantyca. Se il nome della società non vi suona familiare, pensate a Geronimo Stilton, che con i suoi 185 milioni di copie vendute nel mondo rimane il più strabiliante fenomeno dell’editoria italiana. «Ma Geronimo non è considerato un personaggio italiano – insiste Marietti –, le sue storie si prestano a essere localizzate in ciascuno dei 45 Paesi in cui è conosciuto». Si va dagli Stati Uniti al Giappone, dove le avventure del topo giornalista sbarcheranno in dicembre, in una veste grafica appositamente pensata per soddisfare la sensibilità orientale. Anche gli affari, però, non sono tutto. In maniera discreta quanto efficace, negli ultimi mesi l’Italia ha dato un contributo significativo alla revisione dello statuto dell’associazione internazionale degli editori (Ipa, International Publishers Association). La modifica, che viene votata proprio oggi a Francoforte, mira a restituire maggiore importanza all’elemento della libertà di espressione. «È un processo avviato lo scorso anno, dopo che l’Ipa aveva deciso di accogliere come soci Cina e Arabia Saudita – spiega Piero Attanasio, che per l’Aie cura le relazioni internazionali –. Attenzione, però, perché non esiste alcuna identificazione automatica tra la politica dei governi e l’atteggiamento assunto dalle associazioni di categoria. In Turchia, per esempio, a fronte di una situazione sempre più drammatica gli editori si stanno comportando con estremo coraggio».