La bellezza e l’inferno: non è solo il titolo di un libro di successo di Saviano, ma sono i due punti di riferimento costanti cui ha ancorato la sua opera di scrittore ma anche la sua vita di uomo Albert Camus. O, meglio, la bellezza e gli umiliati, i dannati della Terra, come ricordava Zygmunt Bauman su queste pagine domenica scorsa. Non siamo sicuri che a Camus sarebbe piaciuto venir considerato un modello per gli intellettuali, ma il suo itinerario lungo il secolo scorso, dall’impegno nelle file della Resistenza alla presa di distanza rispetto al comunismo, dai moniti contro la pena di morte alla critica verso il colonialismo francese in Algeria, resta davvero un esempio per qualsiasi 'engagement' che non sia prestabilito da un’ideologia vecchia o nuova. A Camus si deve anche l’approfondimento del tema dei Giusti, cui dedicò un dramma ove il protagonista rifiuta di scagliare una bomba perché ucciderebbe due bimbi innocenti assieme al Granduca che vuole assassinare. Evidente il riferimento alla lotta per la liberazione dell’Algeria e alla condanna di ogni azione terroristica da parte dei combattenti per l’indipendenza. Celebre al riguardo una sua risposta in un incontro con gli studenti a Stoccolma, il giorno dopo aver ricevuto il premio Nobel: «Ho sempre condannato il terrore, devo dunque condannare anche un terrorismo che viene esercitato ciecamente, ad esempio per le strade di Algeri, e un giorno può colpire mia madre o la mia famiglia. Credo alla giustizia, ma prima della giustizia difenderò mia madre». Il dovere dell’intellettuale di criticare i potenti senza porsi mai al loro servizio e di non mentire mai (chiaro il suo riferimento a Sartre e alla sua difesa a oltranza dei regimi comunisti) è una costante del suo impegno, assieme alla necessità da parte dell’uomo di pensiero di non censurare mai l’apertura alla trascendenza. In tal senso fu anche un antesignano del 'pensiero meridiano': Platone e Agostino gli erano ben più congeniali di Hegel e Marx. È nota una sua frase pronunciata a Parigi alla fine degli anni ’40 in un incontro pubblico su invito dei domenicani: «Sono il vostro Agostino prima della conversione: mi dibatto col problema del male, e non ne esco». La ricerca del sacro, come ricorda Jean Daniel in un editoriale a lui dedicato sull’ultimo numero del 'Nouvel Observateur', non l’ha mai abbandonato. Nel suo itinerario dall’assurdo alla rivolta, Camus non ha mai smesso di confrontarsi col tema del male: dal romanzo che gli diede una prima notorietà, 'Lo straniero', dominato dalla logica dell’assurdo con l’uomo vittima impotente della crudeltà della storia, al volume che lo consacrò portandolo a conseguire il premio Nobel, 'La peste', ove emerge con forza il tema della sofferenza innocente. E sin dai primordi della sua esperienza intellettuale, vale a dire dai suoi studi, Camus si lascia suggestionare dalla figura di Agostino, il grande santo e dottore della Chiesa di cui condivide le origini africane, tanto da dedicargli nel 1936 la tesi di laurea, dal titolo 'Metafisica cristiana e neoplatonismo. Plotino e sant’Agostino'. Ma un’altra sua battaglia è degna di essere qui ricordata, quella per un giornalismo con l’anima. S’arrabbia moltissimo con i media francesi nel 1944 perché danno molto spazio alla cronaca sull’arrivo a Metz di Marlène Dietrich proprio all’indomani della presa nazista della città. Non è che i giornali debbano essere per forza noiosi, scrive su 'Combat', ma in tempo di guerra dare più spazio ai capricci di una diva che al dolore della popolazione a suo parere non può che suscitare indignazione. Un giornalismo critico: ecco quanto auspicava; e anche in questo caso la sua lezione non è morta.