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Il fotografo. Delogu: «Architettura e fotografia per entrare in sintonia col Creato»

Luca Liverani venerdì 1 novembre 2024

Terunobu Fujimori, Cappella Vaticana, 2018

Una mostra di fotografia. Ospitata in una esposizione di architettura. A sua volta immersa nel bosco di un’isola veneziana. Tutto questo è Sacred Landscapes, paesaggi sacri, singolare evento artistico immortalato ora da un catalogo. Il volume racconta il progetto che nasce nel 2018 per la Biennale di Architettura a Venezia, quando anche la Santa Sede decide di partecipare: e il padiglione vaticano ospita dieci cappelle realizzate da grandi architetti internazionali come Andrew Berman, Francesco Cellini, Javier Corvalan, Eva Prats e Ricardo Flores, Norman Foster, Teronobu Fujimori, Sean Godsell, Carla Juacaba, Smiljan Radic, Eduardo Souto de Moura.

Piccoli edifici sacri di architettura contemporanea inizialmente concepiti come temporanei. Ma la Fondazione Giorgio Cini individua una sede espositiva permanente nel boschetto dell’isola di San Giorgio, accanto alla Giudecca. E l’anno scorso chiede a Marco Delogu, fotografo e attuale presidente del Palaexpo di Roma, di organizzare in questo spazio una mostra. Così dieci grandi nomi della fotografia internazionale accettano di abbinare un loro scatto a una cappella: Tim Davis, lo stesso Delogu, Graciela Iturbide, Don McCullin, Martin Parr, Annie Ratti, Guy Tillim, Paolo Ventura, Vanessa Winship, Francesca Woodman. Ora Marco Delogu spiega come sono nati il progetto e poi il catalogo, pubblicato quest’anno da Punctum in una curatissima edizione telata e su carta tatami.

Un’esposizione di architettura, diventata una galleria nella natura, per una mostra collettiva di fotografia. Un unicum, o quasi. Un catalogo ora racconta questa innovativa intuizione, realizzata in una città, Venezia, che vive del suo incredibile passato, da cui rischia però di restare ingabbiata.

Sì, e credo sia importante sottolineare come l’unica architettura contemporanea che esiste a Venezia sono proprio le cappelle volute dal padiglione della Santa sede per la Biennale di Architettura del 2018. Cappelle che sono state messe sotto tutela dalla Soprintendenza.

Norman Foster, Cappella Vaticana, 2018 (particolare) - Don McCullin, Il bosco di Ravello, 2005 - Punctum

È stato difficile coinvolgere grandi fotografi del calibro di Don McCullin o Martin Parr?

Ho avuto la fortuna di organizzare per diversi anni il Festival della fotografia di Roma e ho lavorato molto in Inghilterra (è stato per quattro anni direttore dell’Istituto italiano di cultura a Londra, ndr), quindi ho rapporti di lavoro costanti con questi artisti. Ne avrei potuti scegliere venti, non dieci, perché sono molti i fotografi che si rifanno all’iconografia del sacro. E poi chiunque vorrebbe esporre in un posto meraviglioso come l’isola di San Giorgio a Venezia. C’è stata una risposta entusiastica ed è stato un lavoro a sottrarre. La difficoltà è stata capire come abbinare le opere alle cappelle, che hanno un’entità architettonica molto forte, scartando ad esempio il criterio di connazionalità, troppo facile. Per esempio, Don McCullin e Norman Foster sono tutti e due inglesi e per di più nati nel 1935. No, abbiamo preferito valutare l’approccio e la struttura delle opere, tenendo conto che a San Giorgio la natura ha una presenza molto forte. Abbiamo indagato il rapporto che c’era tra il sacro e la natura, rispetto alle fotografie e alle architetture. Tutto si giocava su una serie di elementi fortemente meravigliosi.

E com’è nata l’idea di abbinare fotografie e architetture?

La Fondazione Cini l’anno scorso ha voluto ridare vita a queste cappelle, riportare la luce su questi importanti esempi di contemporaneità tra architettura e sacro. Un rapporto che nel ‘900 ha penato tantissimo, anche se è in ripresa da diversi anni. Quindi la mostra di foto ospitata tra le architetture sacre a San Giorgio è stato un modo di riscattare questo dialogo, declinato in una pluralità di linguaggi artistici. Queste architetture vivono da sole, le foto altrettanto. Ma insieme, e in quell’isola incredibile, danno un risultato in più, senza cancellare le diverse identità. La somma è maggiore degli addendi. Uno più uno, stavolta, fa tre o quattro.

Javier Corvalàn, Cappella Vaticana, 2018 (particolare) - Guy Tillim, Second Nature-Tahiti, 2010 - Punctum

Cappelle e foto non sono esposte in una galleria asettica, ma in un ambiente naturale, già bello di suo.

E tutti i fotografi sono stati avvisati che la loro opera si sarebbe naturalmente degradata. Le foto sono state esposte tra due lastre di plexiglass, ma il clima della laguna inevitabilmente rovina. Come si degrada l’architettura, così si sarebbero rovinate le stampe. Perché in un luogo del genere non puoi pensare al rapporto col sacro senza accettare che il passaggio del tempo lasci un segno. Come d’altronde è nei nostri corpi.

Arte esposta che si degrada: come la street art, fatta di graffiti e poster sulle strade urbane. O le opere d’arte costruite con materiali naturali nel bosco di Val Sella in Valsugana, Trentino.

Assolutamente sì. È chiaro che queste foto rimarranno in eterno, perché ora c’è un catalogo e perché diverse immagini facevano parte degli archivi degli artisti. Alcune in realtà sono inedite, come lo scatto di McCullin che ritrae un bosco a Ravello. Ma mi piace molto l’idea che anche una foto, come un olio su tela, possa subire il passaggio del tempo.

Norman Foster, Cappella Vaticana, 2018 - Punctum

Le cappelle e le foto esposte nel bosco sono anche un’immersione dell’arte nella bellezza del Creato. Questo pontificato insiste molto sull’armonia tra uomo e natura.

In questa esposizione il messaggio sulla necessità di porsi in armonia col Creato è totale. Non è un caso che il Dicastero per la cultura nel 2018 abbia voluto fare il padiglione della Santa Sede non dentro la struttura classica della biennale di architettura, ma nella Giudecca, accanto all’isola di San Giorgio che ne è una propaggine. Ed è ancora più bella la decisione che queste cappelle, che dovevano essere smantellate alla fine della biennale, siano state prese in custodia dalla Fondazione Cini, che a San Giorgio fra l’altro è vicina di casa dei Benedettini. La Fondazione ha fatto un grosso sforzo per renderle permanenti. Ora abitano il bosco in una simbiosi perfetta con la natura che le circonda. Sono sospese nella laguna tra acqua, cielo e terra, in un luogo perfetto per coniugare arte e spiritualità.