Agorà

Intervista. L'arte diventa pop con Frankie hi-nrg

Angela Calvini martedì 18 agosto 2015
Per Fiorella Mannoia è «un viaggio psichedelico» che sta fra Light my fire dei Doors  e A testa in giù di Pino Daniele. Per Giuliano Sangiorgi dei Negramaro le emozioni sono le stesse che gli dà l’onirica colonna sonora di The tree of life del regista Terrence Malick. Caparezza, invece, ci vede un’ironia che sta tra Frank Zappa e gli Skiantos e un gioco rocambolesco paragonabile alle parole di Bergonzoni. Stiamo parlando dell’Ortolano dell’Arcimboldo, il quadro simbolo di Expo 2015, quello che ha ispirato Foody – la mascotte dell’esposizione milanese. Una natura morta fatta di cipolle, carote, aglio in un catino, se visto da un lato, una faccia clownesca beffarda con tanto di cappello se si ribalta il quadro. «Per me quasi una maschera di un totem che mi ricorda la musica tribale di Babatunde Olatunji o un rap divertente sull’abbondanza di cibo, Eat as you can, di Fat Boy» racconta Frankie hi-nrg mc, al secolo Francesco Di Gesù, padre del rap impegnato italiano e appassionato di pittura (ha anche condotto l’anno scorso per Sky Arte il programma Street art). È sua l’idea di un progetto per avvicinare l’arte a tutti, in particolare ai giovani. Così ha coinvolto i suoi amici (oltre a quelli sopra citati, Francesco Renga, Niccolò Fabi, Elio, Franz di Cioccio e la Banda Osiris) nel progetto Artune che ha debuttato il primo luglio sulla piattaforma Spotify (e a disposizione su www.artune.it). Frankie lo definisce «la prima audioguida emozionale» capace di guidare gli utenti all’esplorazione di un’opera mediante le suggestioni della musica tramite il web. Ideato dall’artista insieme a “Materie prime circolari”, Artune sceglie un capolavoro dell’arte e coinvolge le star della musica italiana, ognuna delle quali realizza una selezione di cinque brani ispirandosi alla visione del quadro, con un breve commento in voce. Il primo appuntamento ufficiale sarà una grande festa musicale (presenti Frankie Hi-Nrg, Musica Nuda e la Banda Osiris) il 5 settembre al Museo Civico “Ala Ponzone” di Cremona per il ritorno a casa del quadro. Grazie al wi-fi gratuito si potrà ascoltare Artune anche di fronte all’opera, mediante il proprio smartphone. E questo sarà solo il primo passo. Perché iniziare proprio dall’Ortolano? «Perché Cremona è la mia città e il sindaco Gianluca Galimberti mi ha chiesto di studiare un progetto per avvicinare il pubblico giovane all’arte e ai musei. Così abbiamo ideato un progetto innovativo che intendiamo esportare anche in altre mostre e musei, e non solo in Italia. Il pubblico va incuriosito, altrimenti al museo non ci va». E perché, secondo lei? «Per due motivi. Il primo è che la gente pensa di annoiarsi davanti a una sfilza di opere d’arte, accompagnate da scritte piccine e complicate. Invece il museo è un luogo dove ci sono immagini: o ti piacciono o non ti piacciono. E comunque hai ragione tu. Ad esempio a me i “tagli” di Fontana emozionano, ad altri non dicono niente. E va bene così. Il secondo è il senso di inadeguatezza culturale che assale il visitatore. Perché spesso il mondo della cultura è portato a raccontare le cose dando per scontato che uno sappia tutto». In molti musei ed esposizioni forse l’approccio è troppo didascalico, ma dall’altro lato non si rischia la banalizzazione? «Intanto incominciamo ad attrarre il pubblico, a fargli percepire quanto sia bella l’arte. Uno dovrebbe starsene rilassato a guardarsi un quadro e a godersi le emozioni che gli arrivano. Accompagnandolo con della musica che nasce dalle emozioni connesse al quadro, noi lo seguiamo in questo percorso». E che tipo di musica hanno scelto i suoi colleghi? «L’interessante è che dalle scelte si capiscono anche aspetti inediti di questi artisti. Sangiorgi svela la sua passione per il cinema di Malick, Niccolò Fabi il gusto per l’elettronica, Elio e Franz Di Cioccio ovviamente propongono la progressive ma con sfumature diverse. La Mannoia ama Mina e i Pink Floyd». A proposito della Mannoia, lei nel 2012 con lei aveva scritto e cantato il rap “Non è un film” in cui si parlava dell’accoglienza degli immigrati. Era già avanti coi tempi... «Mi è sempre capitato, da quando esordii nel 1991 con Fight the faida sulla mafia pochi mesi prima della morte di Falcone e Borsellino o con Quelli che benpensano del 1993 sulla deriva di un’Italia corrotta dal denaro. L’accoglienza? Io penso che sia una necessità, nonostante gli italiani siano arrivati a un disagio economico tale da avere paura di essere scavalcati dagli “ultimi”: ecco, basta strumentalizzazioni, occorrerebbe dare un’informazione corretta sul perché queste persone fuggono». Anche sui cristiani perseguitati... «Ho visto una foto di Calais dove è stata costruita una chiesa ortodossa, piccola come una tenda, povera ma bella. Ho avuto la tentazione di metterla sul mio profilo Facebook con una risposta a chi paventa una colonizzazione musulmana dell’Europa: “Ecco, a Calais ci sono già i colonizzatori”. Poi ho pensato che forse sarebbe stato troppo provocatorio...». Il Papa, però, proprio pochi giorni fa ha invitato anche voi artisti a vincere la pace combattendo l’indifferenza. «Papa Francesco è una delle poche personalità che stano prendendo posizioni sensate e necessarie. Il tema dell’indifferenza, dell’accoglienza, quello del dare il meglio di sé. Sono interessanti le parole di Bergoglio per sensibilizzare le persone che hanno un contatto col pubblico, gli insegnanti, i media, gli artisti, gli intellettuali a declinare al meglio le loro idee». Non è sempre così, però, anche fra i suoi colleghi. «Gli artisti debbono incoraggiare le persone a non restare indifferenti. Ci sono quelli che hanno questa sensibilità, ma molti purtroppo hanno paura di esporsi per non alienarsi una parte del pubblico. A me non importa, invece, perché penso che il pubblico vada provocato con intelligenza. Perché è davanti ai temi scomodi che scopre la sua coscienza personale». Il rap ha nel suo Dna la denuncia sociale. Ora in Italia va di moda, ma soprattutto quello patinano da talent show... «Il rap può essere un buon strumento perché ha più parole rispetto a una canzone. Può trasformare la cronaca in arte declinando, con un linguaggio alla portata di tutti, i problemi reali. Ma è cambiato stilisticamente dagli anni 90. Il pubblico oggi ha voglia di sentirsi raccontare di se stesso, di autocompiacersi senza essere messo in crisi. Ora però inizia a sentirsi un ritorno alla critica sociale nel rap, ma in termini qualunquistici, senza approfondimento. Non si può solo lamentarsi. Bisogna, come dico in una canzone, “tornare ad essere umani”. Lo ha detto anche il Papa: un po’ meno sciocchezze e un po’ più di verità».