La lettura di didascalie interpretative durante la visita ad una mostra o a un museo non soltanto facilita la comprensione delle opere esposte, ma migliora l’esperienza del visitatore in termini di benessere e di gratificazione. I primi risultati di una ricerca, pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista americana Plos One e condotta da un gruppo di ricercatori delle università Sapienza di Roma (Dipartimento SARAS), Roma Tre (Dipartimento di Scienze della Formazione) e UniFi (Dipartimento Neurofarba) dimostrano, sulla base di rilevazioni fisiologiche e di questionari qualitativi e quantitativi, che la lettura di didascalie accessibili e misurate migliora in modo significativo la risposta emotiva e cognitiva dei visitatori non esperti. I dati biometrici – rilevati dall’équipe di ricerca fiorentina – come la registrazione dei movimenti oculari, la dilatazione pupillare, il battito cardiaco, l’andamento delle pulsazioni e la conduttanza cutanea (che evidenzia il livello di eccitazione emotiva di un soggetto) - attestano livelli di maggiore rilassamento e interazione con lo stimolo visivo se il visitatore ha letto la didascalia prima di approcciarsi all’opera d’arte. L’interesse della ricerca, il suo portato innovativo e la sua attendibilità derivano da una serie di fattori: il coinvolgimento di competenze diverse (la museologia e la storia dell’arte; la psicologia dell’arte e le neuroscienze), la scelta di lavoro in condizioni reali e non simulate in laboratorio, la decisione di applicare sistemi di misurazione come l’
eye-tracking o il battito cardiaco per ragionare sull’efficacia dei sussidi didattici. Si tratta di un classico caso di ottimizzazione delle risorse che mette a frutto la strategia di condivisione e di approccio interdisciplinare tanto incoraggiato dalle università e dai nostri centri di ricerca. Lo stesso museo coinvolto (la Collezione Casamonti di Firenze) ha in questo caso offerto un esempio di “buona pratica”, accogliendo i ricercatori e mettendo a disposizione degli esperti di storia dell’arte e di psicologia informazioni e materiali sulle opere esposte, facilitando dunque l’elaborazione di didascalie “ad hoc”. Non basta, infatti, che la didascalia interpretativa sia presente, ma è necessario che essa sia ben calibrata, né troppo lunga e né troppo breve, ma soprattutto rilevante, priva di divagazioni erudite e capace di incuriosire. Un libro di Beverly Serrell dell’ormai lontano 1996,
Exhibit labels: an interpretive approach, è divenuto una sorta di best seller per museologi ed esperti di educazione al patrimonio, ma la riflessione si è estesa da tempo al panorama italiano, con gli studi di Alessandra Mottola Molfino e ancor di più attraverso le proposte di musei “impegnati”, come la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma a Palazzo Barberini che ha recentemente rinnovato il suo apparato didattico precisamente con questi intenti. Al 2015 risalgono le
Linee guida per la comunicazione nei musei dell’allora Ministero dei Beni Culturali ove appunto si tentava, anche in linea con quanto sperimentato in altri paesi (per esempio al Getty o al Victoria&Albert Museum di Londra) di stabilire alcuni orientamenti comuni per migliorare l’efficacia degli apparati educativi dei musei italiani.Da diverso tempo, una branca specifica della psicologia analizza gli effetti prodotti dall’esperienza estetica sullo stato di benessere delle persone. Stefano Mastandrea, che ha partecipato alla ricerca pubblicata su Plos One, si occupa da anni dell’impatto prodotto dal museo sulla dimensione emotiva dei visitatori. E i risultati sono di grande interesse: l’arte fa stare meglio, abbassa i livelli di stress, facilità le relazioni e il senso di autoefficacia. Nello studio condotto al Museo Casamonti, i partecipanti sono stati intervistati prima e dopo l’esperienza di visita, adottando dei criteri di monitoraggio che lo stesso Mastandrea aveva già utilizzato in precedenti ricerche per correlare la corrispondenza tra rilevazioni biometriche, esperienze personali e risposte psicologiche.Per il settore della museologia, il contributo alla ricerca – prestato dal Dipartimento SARAS di Sapienza, dove l’insegnamento della didattica museale gode di uno storico e oggi rinnovato impegno - ha soprattutto orientato l’indagine sulla questione cruciale della qualità dei testi proposti al pubblico, sulla loro visibilità e pertinenza. Un approccio che oltretutto testimonia l’impegno delle università sul fronte della terza missione, ovvero della costruzione di contesti di miglioramento per la società e i cittadini (in questo caso, la comprensione e la valorizzazione del patrimonio culturale). L’obiettivo dello studio punta a fornire un apporto sostanziale all’attuale dibattito sulla elaborazione dei sussidi didattici e sull’uso che se ne propone all’interno di uno spazio espositivo. La riflessione sulle politiche museali, sulle strategie di allestimento, sul ruolo partecipativo dei pubblici e sulle esperienze di fruizione può beneficiare dei dati di rilevazione scientifica, tenuto conto che le limitazioni imposte dagli strumenti (applicabili ad oggi solo in certe condizioni di luminosità, morfologia e dimensione delle opere selezionate) richiedono poi integrazioni e indagini qualitative di altra natura.Giova ricordare che già prima del secondo conflitto mondiale, sulla scia della spiccata vocazione educativa dei musei statunitensi, il primo direttore del Museum of Modern Art di New York, Alfred Barr, credeva fermamente nell’uso sapiente degli apparati didattici: si dedicava in prima persona ad elaborare didascalie stimolanti, insolite, capaci di interrogare direttamente il visitatore, di farlo sentire coinvolto e protagonista dell’esperienza di visita. Barr guardava al MoMA come ad un vero e proprio laboratorio dove sperimentare modalità didattiche e partecipative del tutto inedite. E a quella idea di laboratorio ci si sarebbe ispirati anche in Italia, subito dopo la guerra, con le grandi esperienze condotte da Palma Bucarelli alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, da Fernanda Wittgens a Brera, da Paola della Pergola alla Galleria Borghese. Sforzi e contributi che nel pensiero di Giulio Carlo Argan avrebbero trovato un’articolazione critica oggi quanto mai attuale: “il museo è […] il luogo in cui davanti alle opere non si prende una posizione di estasi ammirativa, ma di critica e di attribuzione di valore”.
Il progetto interdipartimentale “L’efficacia della comunicazione dei sussidi didattici e la qualità dell’esperienza della visita museale” è condotto da Irene Baldriga, docente di museologia e didattica del museo (Dipartimento SARAS, Sapienza Università di Roma), Maria del Viva, docente di psicobiologia e psicologia fisiologica (Dipartimento NEUROFARBA, UniFi - Università di Firenze), Stefano Mastandrea, docente di psicologia dell’arte (Dipartimento di Scienze della Formazione, Università Roma Tre)