Fuori Festival. L’apolitico Sanremo si toglie anche il gilet giallo
Una volta dalle parti dell’Ariston le invasioni barbariche erano caratterizzate da soggetti smarriti, tipo l’eccentrico “Cavallo Pazzo”, al secolo scorso Mario Appignani: al Sanremo del 1992, “era Baudo”, salì sul palco e gridò: «Questo Festival è truccato! Lo vince Fausto Leali». Vinse Luca Barbarossa con Portami a ballare (Leali 9°). Prima e dopo tangentopoli e i televoti gonfiati, ogni edizione ha avuto le sue scene di ordinaria follia, più o meno misteriosamente architettate.
Poi con gli anni 2000 è stato il tempo delle proteste, fuori e dentro l’Ariston, dei sit-in civili da parte del mondo proletario: operai licenziati, cassintegrati e affini. Sanremo è comunque da sempre lo sfogatoio dell’Uomo col megafono ancora prima che lo cantasse Daniele Silvestri. Ma ora, nei giorni del gelo improvviso calato tra la Francia e l’Italia, causa l’avventato incontro di Di Maio con i “finti” gilet gialli, ci si aspettava anche il “giallo” a Sanremo. Per 24 ore, ieri, forze dell’ordine in stato di massima allerta per la possibile calata in Riviera dei galli transalpini, ammantati di gilet canarini. Alle ore 14 in piazza Muccioli blindati della Polizia in assetto antisommossa erano pronti a respingere gli assalti massivi dell’onda anomala scagliatasi sul Festival... Falso allarme. Passa qualche minuto e da una Renault azzurra, fuoriescono quattro irriducibili in gilet e tricolore francese al vento. Sono scortati da altre quattro-cinque moto e una decina di centauri: tutti immortalati dalla Digos e dalla Scientifica che dopo i controlli di rito (i giornalisti sono molto più scannerizzati per entrare in sala stampa) si sono limitati a sorvegliare i quattro amici al bar, riuniti intorno al lavoratore interinale Maxime Nicole.
«Chi ha incontrato Di Maio non rappresenta il nostro movimento in cui non ci sono leader, sia ben chiaro. Di Maio ha incontrato altre persone, rappresentanti di gruppi diversi dal nostro… – dice Nicole –. Noi non apparteniamo a nessun partito e rivendichiamo diritti per tutti: diritto al lavoro e pari dignità nella retribuzione». Maxime ragiona da pacifista e la parentesi politica a margine di un Festival assolutamente apolitico, tra una vermentino e una focaccia, si chiude già alle ore 15. Stop al solidale: «Abbiamo ricevuto decine di richieste da parte di enti e associazioni quasi tutte con finalità nobili, ma per non scontentare nessuno già dallo scorso Sanremo abbiamo deciso di evitare qualsiasi appello dal palco», interviene l’autarchico Baglioni che ha riportato al centro del villaggio sanremese la musica. Spazio esclusivamente riservato a quell’«arte piccola, tascabile, che sono le canzoni» catechizza “don” Claudio che stupisce un po’ con l’omaggio al più politico dei cantautori viventi, Francesco Guccini, con Dio è morto. Il poeta di Pàvana mentre è in viaggio verso mete distanti da Sanremo cade dalle nuvole quando il suo storico mentore musicale, il maestro Vince Tempera, lo informa del duetto-omaggio che gli dedicheranno Baglioni e Ligabue.
«Guccini non ne sapeva davvero niente – conferma Tempera – Sorpreso? Beh, abbastanza. Ma si è sorpreso di più lo scorso anno quando aveva mandato a Sanremo una sua canzone che avrebbe dovuto cantare Enzo Iacchetti accompagnato da noi Musici (Tempera, Marangolo e Biondini)… Con grande sorpresa e un po’ di dispiacere di tutti noi, la canzone venne bocciata». Il politichese, anche cantautoriale, qui al Festival non paga. Dove il calcio non è ancora riuscito a mettere mano, fare uscire la politica dagli stadi, ha potuto il Baglioni sanremese che l’ha espulsa dal Festival. Pochi qui ancora gridano da poetici “gilet gialli” (Silvestri, Cristicchi…), ma il megafono è spento.