Agorà

Calcio. L'addio solitario (e triste) di Mancini alla Nazionale

Massimiliano Castellani lunedì 14 agosto 2023

Mancini ha dato l'addio alla Nazionale

Incubo di una notte di mezza estate. Roberto Mancini non è più il ct della Nazionale, si è dimesso. La notizia rimbalza come un pallone sgonfio e prende una traiettoria più spiazzante di un viaggio in treno Roma-Foggia in compagnia del premio snobel Alain Elkann e perfino anche dei barconi pieni di turisti italiani spiaggiati in Albania.

Sì perché al momento resta vacante il ruolo istituzionale più delicato che ci sia, quello del commissario tecnico della Nazionale di calcio, che per una Repubblica fondata sul pallone come la nostra è la peggiore crisi possibile, e in questo caso inimmaginabile. Un ct e il suo operato infatti viene giudicato costantemente da 60 milioni di italiani, implacabili. Molti di loro che non vanno più alle urne da anni e che ignorano o tollerano le gesta e le leggi imposte dal Premier e dall’attuale governo, sono invece sempre pronti a decretare la sfiducia o la fine del mandato del ct dell’Italia che è durato comunque un quinquennio pieno. Un record per il governo parallelo.

I 60 milioni di potenziali ct, a Mancini lo volevano dimissionario dopo la mancata qualificazione ai Mondiali del Qatar 2022, ma aveva ancora da spendere il superbonus degli Europei vinti, a sorpresa, con l’Italia degli oratoriani che riportavano a casa un titolo che nella bacheca della Figc mancava dal lontanissimo 1968. E poi, Mancini aveva il pieno appoggio del presidente della Federcalcio Gabriele Gravina che da suo primo sponsor si è trasformato in tagliatore di teste dello staff manciniano. Fuori da Casa Italia il fido Bubu Evani, il preparatore dei portieri Giulio Nuciari, mentre l’altro scudiero doriano, Attilio Lombardo, veniva dirottato sull’Under 20. Per carità, al Mancio dopo l’ultimo consiglio federale era stato dato il contentino del coordinamento dell’Under 20 e 21, ma i piccoli sgarbi reiterati da tutti gli uomini del Presidente hanno allargato quel vuoto incolmabile lasciato dalla morte del suo vero fratello di campo e di vita, Gianluca Vialli.

Un colpo dopo l’altro, il ct si è sentito davvero triste e solitario e senza più una finale futura da giocare. Gli era rimasto affianco soltanto il fido Faustino Salsano, suo storico portaborse dai tempi della Samp. Troppo poco per continuare un viaggio disperato alla ricerca dei talenti perduti (la giovine Italia è tutta in costruzione) con una valigia piccola portata dal piccolo Salsano e la sensazione di dover giocare sempre da solo, per di più contando su una scarpa e una ciabatta.

Mancini parla di “scelta personale” e a prescindere da quelle che saranno le sue scelte future (eldorado arabo compreso) resta il fatto di un uomo che pare essersene voluto andare un attimo prima che qualcuno lo cacciasse. È un Mancio sfiduciato nell’anima quello che saluta con un laconico quanto amaro: “Ringrazio il presidente federale, Gabriele Gravina, per la fiducia, insieme a tutti i membri della Figc. Saluto e ringrazio tutti i miei giocatori e tifosi che mi hanno accompagnato in questi 5 anni. Porterò sempre nel cuore la straordinaria vittoria dell’Europeo 2020“. Le dimissioni di Mancini sono una sconfitta per il calcio italiano che aveva trovato un condottiero entusiasta nel seguire la crescita di un movimento fortemente svuotato dall’assenza di quei campioni veri che latitano dai tempi dell’ultimo trionfo mondiale del 2006.

E quell’entusiasmo era fortemente scemato con la perdita dell’amico del cuore e questo lo conferma anche cuore di mamma Mancini, la signora Marianna che senza giri di parole conferma: «Roberto, non ha mai superato la morte di Gianluca Vialli… Al posto suo hanno deciso di mettere qualcun altro, ma non mi ricordo neanche chi sia». Al posto di Vialli Gravina ha messo il portierone Gigi Buffon e con lui è arrivato l’altro ex juventino Andrea Barzagli. Mancini si è sentito accerchiato, ha perso tutti i suoi fanti e nei rinforzi strategici graviniani deve aver rivisto quegli spettri bianconeri del tempo in cui allenava l’Inter dell’oscurantismo post calciopoli. O forse, il Mancio ha solo voluto giocare d’anticipo, come ha sempre fatto nella sua spettacolare carriera da ex fantasista. Speriamo che c’abbia visto giusto, perché questo è un tempo in cui tutti si sentono supereroi e invece come canta Cesare Cremonini “tutti con il numero 10 sulla schiena e poi sbagliamo i rigori”.