Agorà

Il caso. Milan Kundera al valzer degli addii dalla Francia?

Maurizio Cecchetti sabato 24 luglio 2021

Una immagine dello scrittore Milan Kundera che ha oggi 92 anni

La sensazione, da alcuni indizi ricorrenti, è che fra i francesi e Milan Kundera, i rapporti si siano incrinati. Che non ci sia più quella simpatia che aveva consentito a Kundera, fin dal 1975 ma, già prima, di essere uno scrittore coccolato e un personaggio emblematico della condizione in cui vivevano gli intellettuali del suo Paese, la Cecoslovacchia, sotto il regime imposto dai sovietici. È evidente, per esempio, dalle critiche che dopo il Duemila hanno accolto in Francia i suoi libri. È colpa dell’establishment letterario, sostengono i fan dello scrittore. E Kundera anche lo pensa. Ma c’è dell’altro. Quando Aragon nel 1968 scrisse la prefazione all’edizione francese del romanzo, Lo scherzo (uscito l’anno prima in patria), dovendo aggiornarla in extremis per stigmatizzare l’invasione sovietica che pose fine alla Primavera di Praga, egli dava a Kundera un ruolo di dissidente e di testimone della eterogenesi dei fini dell’ideale comunista. Già allora, 1969, Kundera era intimamente scontento: non voleva essere considerato un dissidente, ma soltanto uno scrittore. Tra quelli che s’impegnarono per assicurargli un futuro come intellettuale e anche uno stipendio di che vivere, ci fu, per esempio, François Furet, all’epoca presidente dell’École des hautes études en sciences sociales (EHESS), ex comunista che s’interessava ai dissidenti (ma poi anche a una revisione della verità sulla Rivoluzione francese). Nel 1976, un anno dopo l’arrivo di Kundera in Francia, lo storico Pierre Nora parlò a Furet e lo convinse a intercedere presso il primo ministro Raymond Barre per sistemare lo scrittore in università. Anche Furet lo spese come dissidente, ma Kundera ancora torceva il naso. In questa insistenza sull’essere scrittore, più che legittima, qualcuno ha tuttavia visto il tentativo di rinnegare il proprio passato (e la propria patria). A Praga girava una battuta feroce: «Havel ha fatto la prigione, ed è diventato presidente; Kundera è andato in Francia, ed è diventato scrittore».

Lo scorso anno il critico Jan Novák ha pubblicato una monumentale biografia di Kundera, attingendo a molti documenti ma anche armato di qualche pregiudizio – qualcuno lo ha definito uno stalker tanto è l’accanimento verso lo scrittore –: in circa 900 pagine racconta Milan Kundera. La sua vita e i suoi anni cechi (uscito dall’editrice ceca Argo), il quale finisce per assomigliare a un «antieroe» più che a un oppositore del regime. La faccenda è complicata, come spiega un altro libro, À la recherche de Milan Kundera, pubblicato da Ariane Chemin per le Éditions du Sous-Sol, ma già uscito a puntate tra il 17 e il 22 dicembre 2019 a mo’ di feuilleton, sul quotidiano “Le Monde”, del quale è giornalista l’autrice. Il 9 gennaio 1968 la polizia politica apre un dossier su Kundera col nome in codice Basnik, in ceco “il poeta”. Come mai? Da giovane era stato comunista e aveva scritto poesie per Stalin, ma ora la sua idea di socialismo riformista non piaceva al regime. Kundera, però, era stato fino a qualche anno prima un intellettuale vicino al potere. Quando nel 1963 a Praga i critici marxisti dell’Est europeo si riunirono in congresso per “riabilitare” Kafka, non come comunista involontario, ma sostanzialmente usando la sua forza di scrittore per rivolgerla contro il mondo occidentale e la cultura borghese, Kundera non partecipa; però nello stesso anno riceve il premio Klement Gottwald, onorificenza di Stato intitolata a un politico, morto come Stalin nel 1953, che incarnò perfettamente la ratio del dittatore sovietico con purghe e assassini. E a proposito di Kafka, quando trovò impiego nell’università francese, svolgendo i suoi mitici seminari sulla letteratura europea – da cui ricaverà nel 1986 il libro L’arte del romanzo– Kundera stupì i suoi affascinati allievi così: «Voi, in Francia, non avete capito. Kafka non è un autore tragico, è un autore comico. Con Kafka si deve ridere. E quindi sbarazzatevi subito di tutte le vostre 'kafkologie'».

Col colpo di mano sovietico, nuovi dossier della polizia politica dove Kundera ha il nome in codice Elitár I (Elitár II è la moglie Véra), che potrebbe suonare persino ironico se non venisse da un sistema che di ironia ne aveva punto. 2.374 pagine oggi conservate all’Istituto per lo studio dei regimi totalitari (che dal 2007 riunisce tutti gli archivi del ministero dell’Interno cecoslovacco sotto il regime comunista). E proprio da questo forziere pieno di segreti, nel 2008 esce un documento che “inguaia” Kundera. Il periodico ceco “Respekt”, dopo aver cercato di contattare Kundera, ma senza riuscirci, pubblica un rapporto di polizia del 1950 dove si dice che un certo Milan Kundera, nato a Brno il 1° aprile 1929, ha denunciato tale Miroslav Dvorácek, che poi si scoprirà essere un aviatore espatriato clandestinamente e rientrato per svolgere lavoro di spionaggio al soldo degli inglesi. Per questa denuncia, che qualcuno interpreta precipitosamente come delazione, Dvorácek viene condannato a 22 anni di prigione e ai lavori forzati nelle miniere di uranio, da cui uscirà come sorvegliato speciale tredici anni dopo. Per Kundera è un disastro, la notizia fa il giro del mondo e sebbene in sua difesa scenda il fior fiore degli scrittori mondiali, il documento risulterà autentico, anche se non è chiaro il contesto della denuncia. Lo scrittore rompe il silenzio limitandosi a dire: «io non so di che cosa si parla. È un attentato verso la mia persona ». Non basta a fugare i sospetti e i dubbi dell’opinione pubblica francese e dei cechi postcomunisti. E probabilmente la rivelazione ha fatto sfumare anche le ultime speranze per il Nobel.

Kundera afferma che ogni scrittore oltre alla madrepatria ne ha un’altra elettiva cui corrisponde una lingua: la sua è il francese. In Francia ha trovato il successo, le gratificazioni nel mondo universitario, è stato il suo trampolino di lancio, fino all’apoteosi raggiunta grazie a un libro diventato mitico, anche se forse non è il suo più bello, L’insostenibile leggerezza dell’essere. In ogni apoteosi il picco prevede la discesa e Kundera, soprattutto dal 2000 in poi ha ricevuto anche critiche importanti verso i suoi nuovi libri: Philippe Sollers, nel libro Un vrai roman( 2007) constata lapidario: «Kundera si è messo a scrivere in francese. Silenzio», ma già alla fine degli anni 90 aveva osservato: «i suoi libri ci guadagnano in traduzione». La discussione monta quando nel 2011 Kundera entra nella prestigiosa Pleiade con due tomi che raccolgono le opere che lui stesso ha deciso debbano rimanere tra tutte quelle che ha scritto e di cui ha curato personalmente la revisione radicale delle traduzioni, arrivando a sostenere che l’edizione francese è di riferimento anche rispetto alle versioni in ceco. Il dato singolare è che i due volumi non hanno apparati critici, né biografia. François Ricard, amico e studioso dell’opera kunderiana, che ha avuto l’onere di “sorvegliare” il lavoro, dichiarò che Kundera ha composto per l’occasione una “intervista” che si presenta come florilegio di frasi tratte dai suoi libri col titolo abbastanza ironico: C’est l’oeuvre qui parle. È questa la sua unica “ideologia”: conta soltanto l’opera, l’autore deve scomparire. La domanda che molti si fanno sempre più spesso è perché sia tanto “narcisista” da volersi nascondere dietro i suoi libri, ma Kundera ha più volte detto che il successo di uno scrittore dipende per metà dalla sua strategia. I francesi dunque lo amano meno di una volta e lui li ricambia: La festa dell’insignificanza, l’ultimo libro pubblicato, uscì in prima edizione in Italia, da Adelphi, nel 2013 e soltanto l’anno dopo da Gallimard; così come L’ignoranza ebbe la prima edizione nel 2000 in Spagna, e soltanto tre anni dopo in Francia. Ragioni di marketing? Per Ricard Kundera ha voluto fare «un affronto all’establishment parigino».

Se nel 1977 gli era stata tolta, quarant’anni dopo la nazionalità gli è stata restituita dai cechi il 28 novembre 2019. E l’anno dopo è stato insignito nella Repubblica Ceca del prestigioso Premio Kafka. Inoltre, fino al 5 settembre al Centro ceco di Parigi una mostra documenta la sua opera con libri, foto, disegni (Kundera, come altri scrittori, dipinge) e materiali critici, a cura di Tomáš Kubícek, direttore della Biblioteca della Moravia a Brno che nel 2020 ha ricevuto dai coniugi Kundera la donazione di un archivio con decine e decine di edizioni in moltissime lingue delle opere di Milan, oltre a foto, disegni e una rassegna stampa ricchissima. La cosa davvero curiosa è che la notizia è circolata sulla stampa anglosassone e su quella ceca, ma è stata pressoché ignorata dai media francesi. Che sia il segno di un “affronto” reso al mittente? A Praga invece vogliono recitare il rito del Figliol prodigo; d’altra parte il vecchio esule sembra aver desiderio di casa, forse per finire i suoi giorni là dov’è nato. C’è da aggiungere, come ha dichiarato recentemente Miloslav Smidmajer, un regista che lavora a un documentario su Kundera, che lo scrittore alcuni mesi fa si è rotto il femore in tre parti, è stato operato e non si conoscono le sue attuali condizioni di salute. Quando gli chiesero una definizione di europeo Kundera rispose che è «colui che ha nostalgia dell’Europa» (questo anche il titolo della mostra al centro ceco di Parigi). Forse è questa la ferita aperta nel cuore dell’autore dell’Immortalità: il rimpatrio. Nostalgia della propria madre.