Si intitola
Antikatholizismus. Deutschland und Italien im Zeitalter der europäischen Kulturkämpfe ("Anticattolicesimo. Germania e Italia ai tempi dei Kulturkampf europei"), edito da Vandenhoeck und Ruprecht Verlag, ed è la prima comparazione approfondita dello scontro tra mondo cattolico e liberale nel XIX secolo nei due Paesi. A firmarlo è Manuel Borutta, giovane storico tedesco dell’Università di Colonia.
Professor Borutta, si può dire che anche quello che subì il cattolicesimo italiano durante il Risorgimento fu un vero e proprio Kulturkampf? Cosa che, come lei ricorda nel suo studio, è sempre stata negata o ridimensionata dalla storiografia del nostro Paese?«Sì, lo fu. Quello del Kulturkampf è stato un fenomeno globale che ha interessato ampie zone dell’Europa e dell’America Latina. In ultimo si è trattato di uno scontro sul ruolo e il significato della religione nella modernità. Che questo scontro in Italia sia quasi dimenticato nei suoi reali termini lo si deve a diversi motivi. Uno è che la Questione romana, unica nel suo genere, ha coperto altre questioni e accadimenti del tutto comuni a Italia e Germania. Un altro motivo è che dopo il 1870 molti liberali italiani hanno accentuato la propria autonomia e specificità rispetto al Kulturkampf tedesco-prussiano, per sottolineare la moderazione della loro azione. Il Kulturkampf è stato così ridotto a una singolarità tedesco-prussiana, nato da un’iniziativa personale di Bismarck e non trasferibile come categoria all’Italia. L’apporto liberale al Kulturkampf tedesco e i precedenti conflitti in Italia sono stati così messi da parte».
La violenza dell’anticattolicesimo in Germania fu superiore a quella in Italia oppure no?«In entrambi i Paesi ci sono furono scontri violenti tra cattolici e anticattolici. Oltre al fatto che entrambe le nazioni condussero guerre contro potenze "cattoliche" come Austria, Francia e Stato Pontificio, che furono in parte intese come campagne anti-cattoliche. Ciononostante i Kulturkampf causarono pochi morti. Si attuarono soprattutto su un piano mediatico, politico e religioso».
Da parte liberale, l’attacco alla Chiesa è stato sempre presentato come la necessità di rimuovere un ostacolo anacronistico all’unità della nazione (Italia) o alla sua modernizzazione (Germania): quanto peso ebbe invece nel Kulturkampf tedesco il pregiudizio religioso e l’avversione per il cattolicesimo in quanto tale?«In Germania ha giocato un ruolo importante l’identificazione del protestantesimo con la nazione e la modernità. C’erano forti sentimenti anticattolici che risalivano al tempo della Riforma. In Italia la maggior parte dei liberali mirava invece a una riforma del cattolicesimo più che alla sua abolizione. Costoro erano portavoce unicamente di un’interpretazione diversa del cattolicesimo rispetto a quello delle gerarchie ecclesiali. Con la Sinistra storica tuttavia guadagnarono un influsso sul governo e le sue politiche anche forze più radicali e antireligiose, soprattutto di matrice positivista. E nel complesso i passaggi dall’anticlericalismo all’anticattolicesimo furono continui. L’aggressione delle forze progressiste si indirizzò contro il clero cattolico e contro specifiche forme della religiosità cattolica, non contro il clero o la fede di altre confessioni religiose. In questo senso l’"anticlericalismo" italiano fu anticattolico».
Lei ha indagato il ruolo che i "media" di allora ebbero nel fomentare l’ostilità contro la Chiesa cattolica, sia in Germania sia in Italia. Quali furono i temi che vennero più usati?«Furono diversi. Si andava dal complotto transnazionale dei gesuiti, al parassitismo e alla vita gaudente dei religiosi, alla sofferenza delle suore "rinchiuse" in convento, al condizionamento spirituale del popolo, delle donne e dei bambini, alla confessione come violazione dell’intimità coniugale e dell’autonomia familiare. Particolarmente adatte alla campagna scandalistica erano le violazioni del celibato da parte dei sacerdoti. In generale la Chiesa era rappresentata come una macchina perfettamente funzionante di ordini e obbedienza, i conventi erano rappresentati come focolai di crimine e perversione».
Lei ha analizzato la "Orientalisierung" del cattolicesimo in Germania, ossia il cattolicesimo dipinto come un elemento "barbaro" e "arretrato", orientale appunto, estraneo allo spirito della modernità. Come poté affermarsi questa visione se i Land tradizionalmente cattolici – Baden e Baviera – sono oggi tra quelli più industrializzati, avanzati e ricchi della Germania e probabilmente lo erano anche nell’800?«Nel XIX secolo il Sud della Germania era in realtà meno industrializzato. I motivo profondi dell’"orientalizzazione" del cattolicesimo in Germania risiedevano tuttavia nella percezione protestante della differenza cattolica, sentita come qualcosa di esotico e culturalmente inferiore. Una percezione che proveniva dagli illuministi protestanti della Germania del Nord, si era sedimentata con la critica hegeliana al romanticismo, fu fatta propria da democratici e liberali e infine, attraverso L’etica protestante di Max Weber, nel ’900 entrò nell’autocoscienza della modernità occidentale».
Lei ha scritto che un elemento di congiunzione tra i due Kulturkampf, quello italiano e quello tedesco, fu la Svizzera. Quale ruolo giocò la Confederazione?«La Svizzera è stata una specie di laboratorio, attraverso moltissimi rapporti personali e scambi culturali con Germania e Italia. Il concetto di Kulturkampf nacque nel 1840 per descrivere la lotta tra i cattolici liberali svizzeri e la curia romana. Il giovane Cavour trovò a Ginevra motivi di ispirazione per la sua formula magica "Libera Chiesa in libero Stato". Il giurista zurighese Johann Caspar Bluntschli dopo il 1850 fornì l’impostazione ai Kulturkampf di Baden, Baviera, Prussia e Germania in generale. Il torinese Attilio Brunialti, studioso di diritto e deputato per sei legislature, riprese il modello di Bluntschli di uno Stato "maschile" e di una Chiesa "femminile", che implicava una separazione delle due sfere secondo il canone borghese della divisione dei sessi. Ma anche la Francia ebbe un suo influsso, per esempio con i romanzi e gli scritti anticlericali di Diderot, Michelet e Sue o con le caricature di Grandville. Lo studio delle interconnessioni fra i Kulturkampf di vari Paesi è solo all’inizio».