Scienza. A Pavia apre Kosmos, raccontare la natura attraverso la sua scoperta
Shanti, l'«elefantina di Napoleone», tra i pezzi più pregiati di Kosmos, il nuovo Museo di storia naturale di Pavia
Se dovessimo associare a un luogo il metodo di apprendimento trionfante nel sistema scolastico e celebrato, a livello universitario, dallo schema dei "settori scientifici disciplinari" probabilmente troveremmo ispirazione in una biblioteca con un ordinato reticolo di scaffali e ripiani. Fin da piccoli, infatti, abituati a organizzare quanto assimiliamo in compartimenti stagni, finiamo per interiorizzare un processo cognitivo incline a inserire nozioni e concetti in strutture precostruite. In questo modo, studiamo noi stessi, la storia del pianeta e della vita sulla Terra, delle galassie e delle stelle. Ma l’abilità della natura nel sorprendere e continuamente stupire non ha uguali, per gli imprevedibili giochi di rimandi, connessioni e rapporti che scavalcano steccati e confini, attraversando luoghi e tempi, per poi combinare e ricombinare gli infiniti tasselli del cosmo. Un cosmo in cui - come suggerisce l’ormai quarantenne teoria del Butterfly Effect - il battito d’ali di una farfalla in Brasile, può scatenare un tornado in Texas!
A tentare un approccio alternativo, più "naturalmente" simile al corso degli eventi, si candida il Museo di storia naturale che si inaugura a Pavia domani nelle sale di palazzo Botta. Donato dall’Università alla città, costituisce un unicum nel panorama mondiale dei musei naturalistici, presentandosi in modo del tutto atipico: un’originalità che contraddistingue la struttura, che si apre come un libro davanti al pubblico, accompagnandolo in un tour alla scoperta delle diverse sale: «Seguire il percorso di Kosmos è come srotolare un papiro – afferma Paolo Mazzarello, ordinario di Storia della medicina all’università pavese e ideatore del concept scientifico del polo museale – in cui ogni capitolo racchiude un concetto, un’idea».
Nulla a che spartire, dunque, con la logica dei musei tradizionali di storia della scienza e naturalistici, che procedono attorno ai diversi singoli nuclei, dedicati classicamente ai mammiferi, piuttosto che ai pesci o ai brontosauri, «in questo caso il progetto è stato concepito come un viaggio attraverso la conoscenza, le scoperte e le conquiste della scienza, con l’intento di ripercorrere il cammino del progresso e dell’evoluzione» racconta Mazzarello.
Un cammino descritto dalle singole storie dei naturalisti, illustrato dai luoghi che hanno visitato e vissuto, riempito dai ritrovamenti che hanno svelato. Si spazia così da un capo all’altro di un continente, da un continente all’altro, all’inseguimento del biologo Lazzaro Spallanzani fra i vulcani del Sud Italia, fino a Costantinopoli e ai Balcani. E si rincorre, poi, il mito di Alexander von Humboldt, il più geniale dei naturalisti, sulle mappe delle Ande come del Caucaso, per poi salpare con Darwin sul brigantino Beagle, e prendere il largo nei mari del Sud. E, se non bastasse, abbiamo a disposizione un gigante della paleontologia come Georges Cuvier per tuffarci in un viaggio nel tempo.
Saldare, anche materialmente, la vicenda umana e scientifica del naturalista con la sua avventura alla scoperta del mondo, attraverso una serie di vestigia e reperti, custoditi nelle sale del museo, che riproducono il concetto stesso di conquista del sapere, è l’operazione necessaria a una corretta interpretazione e visita di un ambiente che è anche rivelazione del "bello': «Con Spallanzani, ad esempio, emerge tutta la variopinta essenza della natura, una ricchezza estetica poi didascalicamente ordinata da Linneo – spiega Mazzarello – mentre con von Humboldt riusciamo a cogliere la profonda interconnessione degli esseri viventi, la stessa sinergia alla base della moderna ecologia, secondo cui il mondo non è standardizzabile in schemi separati, ma parte di un flusso di fenomeni interdipendenti». Infine, è il padre della teoria evoluzionistica, lo stesso Darwin, a fornirci attraverso la sintesi della biologia molecolare e della genetica, la lente con cui oggi guardiamo il mondo.
Percorso avvincente, narrazione di storie e umane fatiche alla conquista del sapere, ma anche divertente excursus, fra bestiole curiose e strane, su improbabili ritrovamenti e incredibili spostamenti.
Questo specialissimo polo ha, però, il requisito che contraddistingue ogni grande museo: è stato costruito nel tempo, ha un passato alle spalle: iniziato nel 1771 da Spallanzani, a partire da una precedente collezione dell’Università, non ebbe vita facile e colpi fortunosi e vicissitudini rocambolesche non mancarono.
Quello di Shanti è certamente il caso più discusso. L’elefantina di Napoleone, come fu soprannominata, partì dal Bengala per un viaggio epico nel 1772, doppiò il Capo di Buona Speranza e, raggiunta la Bretagna, proseguì fino a Versailles, destinata alla ménagerie della reggia, come bestia da sfoggio per gli ospiti di Luigi XV prima e Luigi XVI e Maria Antonietta poi. Anni dopo, l’elefantessa in fuga dalla corte, cadde in un fosso, e morì inghiottita dalle acque. Il destino la portò nei laboratori di Georges Cuvier che, comparandone lo scheletro con le ossa recuperate in Sud America dai paleontologi, concluse che dalla genesi il mondo si era continuamente evoluto, passando per cataclismi ed estinzioni di intere specie, che ne plasmarono il "volto". Non a caso, adiacente alla Sala di Cuvier, il museo Kosmos riserva una zona dedicata alle sei grandi estinzioni vissute dalla Terra, di cui l’ultima, quella dell’antropocene, causata dall’azione e dagli interventi dell’uomo, ancora in corso.
E quale peripezia portò, infine, Shanti a Pavia? L’ultima destinazione dell’elefantessa è motivata dall’ammirazione di Napoleone per la scuola scientifica pavese, quella di Alessandro Volta e del medico Antonio Scarpa: giunto, infatti, nel 1805 presso l’Università sul Ticino, decise di omaggiare con l’elefantessa quel complesso di scienza e cultura che già pochi anni prima aveva saggiamente risparmiato da razzie e bottini. Entrò allora a far parte della collezione dell’Ateneo e, ancor oggi, testimonia la potenza, benefica e malefica, che può e potrà esercitare, nelle ere a venire, l’uomo sul creato.
«Kosmos invita i visitatori a vivere l’esperienza profonda ed entusiasmante dell’incontro tra realtà naturale e scientifica – sottolinea Fabio Rugge, Rettore dell’Università di Pavia – dal Rinascimento è l’uomo che, attraverso il proprio sguardo, forgia l’universo di cui è custode. L’Ateneo pavese, con tutto il suo patrimonio secolare di pratiche scientifiche, apparecchi, reperti, testimonianze, protagonisti, è una fabbrica di questo universo».
Con 482 mila pezzi, la collezione del museo di storia naturale di Pavia è fra le più ricche al mondo: Kosmos, per il percorso allestito, si è limitato a selezionarne "solo" 2.343, a cui, presto, si aggiungeranno le raccolte dei depositi sotterranei, finalmente accessibili. Intanto, in un’esposizione di 1.200 metri quadrati, antico e moderno, pregiate teche e strumenti multimediali interattivi convivono nell’antico Palazzo Botta che, edificato nel 1702 dal Marchese Luigi Botta, fu tra le più eleganti dimore cittadine. Napoleone Bonaparte, Francesco I d’Austria, l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, il maresciallo Joseph Radetzky, Vittorio Emanuele II di Savoia, tutti qui fecero tappa. Fu anche l’antica sede del gabinetto di anatomia patologica, in cui Golgi studiò la struttura del sistema nervoso e fu scoperta la serotonina. L’attuale struttura è frutto di lavori di adattamento agli istituti universitari, successivi alla cessione dell’intero complesso del 1885 dai marchesi Cusani, discendenti dei Botta, al demanio dello Stato e all’Università. Ancora una volta, tutto attorno parla di donne e uomini, di ambizioni e fatiche, di successi e cadute: le stesse del nostro cosmo.