Musica. Mark Knopfler, memorie di un rocker
Mark Knopfler 69 anni, chitarrista e leader della band Dire Straits
«L’altro giorno parlavo con uno dei miei figli e gli chiedevo cosa stesse facendo quando ci siamo sentiti. Ha risposto “Sto caricando un furgone” e mi è suonata familiare, quell’attività… Del resto se non hai mai caricato un furgone, non capisci mica quant’è complessa la vita. La mia gioventù a Deptford nel sud di Londra, quando nacquero i Dire Straits, l’ho passata in piccoli appartamenti proibiti a vere famiglie e permessi solo a studenti e assistenti sociali, che erano visti dai padroni di casa come esseri inferiori. Oggi su quei palazzi ci sono targhe alle porte, ma allora era disdicevole starci; e le condizioni di vita non erano certo salubri. Eppure per uno che scrive canzoni fare certe esperienze è utile; come lo è sperimentare la durezza della vita, tramite un lavoro tipo caricare furgoni, quando sei bambino o adolescente».
Torna ai vent’anni Mark Knopfler, lo storico cantautore e chitarrista britannico che dopo i fasti dei suoi Dire Straits è affermato solista ormai dal ’96: vi torna perché è decisivo, «come promemoria» chiosa lui, non scordare mai da dove si è venuti; magari anche per trarre dalla propria «geografia personale » gli spunti per nuove canzoni. Come accade più volte nel nuovo disco di Knopfler, Down the road wherever, nono album in studio della sua seconda carriera costellato di poesia e sonorità sublimi pure un po’ diverse dalle abituali, con vere e proprie perle quali il sapore world alla Paul Simon di Trapper man o i brividi di struggimento che regala When you leave. Down the road wherever esce in più formati (cd, doppio lp, cd deluxe con due brani in più, cofanetto con ulteriori bonus track e pure tablature per chitarra) e fra i suoi solchi si annidano spesso, storie di vita vera e frammenti di ricordi che con classe sono divenuti canzoni nuove: in un me- stiere cui Knopfler proprio non saprebbe rinunciare. «Il fatto è che adoro tutto del far musica» spiega. «Amo l’ispirazione a scrivere, lavorare sull’ispirazione stessa, entrare in uno studio per capire se quelle idee funzionano come canzone. A volte è un labirinto, alcuni spunti semplicemente non ne vogliono sapere di funzionare, devi cancellare alcune cose e buttarne via altre: però è parte del divertimento, no?»
Chissà se è così per ogni artista; certo che lo sia ancora oggi per un signore che ha venduto 120 milioni di album ed è da più di quarant’anni sulle scene mondiali fa pensare: anche però a quanta purezza a volte resista, dietro le convenzioni dello show business e la routine di dischi e concerti, se si tratta di un grande artista. Knopfler, la purezza, non la esplicita solo ricavando piccoli e grandi capolavori dalla sua ispirazione, ma addirittura la dichiara in essi, specie nel brano che chiude il disco, Matchstick man ovvero omino stilizzato. «Che poi sono io. Un giovane stupidotto con chitarra e valigia, che faceva l’autostop dopo un concerto tenuto la vigilia di Natale. Uno che non si rendeva neanche conto, che casa sua distasse oltre cinquecento miglia da dov’era: e che alla fine venne lasciato da un camion nelle Midlands, dove c’era solo neve a perdita d’occhio. Lì capii cosa avevo scelto per la mia vita: e anche però che stavo facendo esattamente quello che volevo fare. Dall’alto sarò sembrato un omino stilizzato nella neve, ma col sogno di diventare musicista! Anche adesso, se vedo delle chitarre in un angolo sento lo stesso brivido. È una sorta di istinto che ho dall’infanzia, e che tiene sempre acceso il mio fuoco interiore». Da tale fuoco per il nuovo cd Knopfler ha ricavato vari altri brani da ricordare: Back on the dancefloor («Che non significa torniamo a un pop ballabile, agli ABBA, bensì allo swing insito nelle note»), Heavy up («L’idea me la diede un collega dicendo “Sarò meno serio quando imparerete a esserlo al mio posto”, bella frase per riflettere»), My bacon roll («Un tizio fuori tempo senza più idee su come migliorare le cose… un uomo da Brexit»).
Fra i sedici brani di Down the road wherever ci sono anche Trapper man, dedicata all’industria del disco e ai suoi manager «sempre in ansia per indovinare dove tira il vento e cosa sarà popolare domani », e soprattutto Just a boy away from home, sviluppata - in che modo - da un’esperienza del padre. «Aveva avuto un infarto ed era al General Hospital di Newcastle, vicinissimo allo stadio, quando ha sentito nella notte uno che in strada cantava You’ll never walk alone, non camminerai mai da solo, in pratica l’inno dei rivali del Liverpool. Lui trovò forza nel coraggio di quel canto in terra nemica, io oggi ho voluto legarne il ricordo anche al manicomio vicino casa, un mondo di anime cui solo crescendo sono riuscito a pensare davvero capendo che esistono anche persone i cui sogni vengono distrutti; da bambino per me certe cose non esistevano, non ci si pensava. Quindi nel pezzo canto un molteplice essere lontani da casa nel buio». Strane e notevoli storie, le canzoni di Knopfler, alcune addirittura tenute in gestazione per anni. « When you leave iniziai a scriverla anni orsono: capita vivendo negli hotel da soli ». Il record fu per il brano Rüdiger: «Ci mise tre lustri a nascere: il testo mi venne nell’80 dopo l’omicidio di John Lennon e la musica non uscì sino al ’96, quando poi ho inciso il pezzo».
Per fortuna passeranno meno di sedici anni dalla rentrée discografica di Knopfler al suo tour, che partirà da Barcellona in aprile, toccherà Milano il 10 maggio e si chiuderà con un fuoco di fila di date italiane a luglio (13 Lucca, 17 Stupinigi, 18 Cattolica, 20 e 21 Roma, 22 Arena di Verona); e l’artista si conferma puro e schietto anche parlando di concerti. «Non vedo l’ora. Però più invecchi e più è dura: c’è un peso quasi fisico nel trasportare le tue canzoni agli altri sera dopo sera. Chi lo sa, forse sarà l’ultimo mio grande tour; però siccome non uso ancora il deambulatore darò il massimo che posso… Quindi canterò Back on the dancefloor, sarà divertente con una band di dieci elementi visto che stavolta aggiungo i fiati; e grazie al sax riprenderò anche Your latest trick da Brothers in arms dei Dire Straits, che non pensavo un giorno di rifare live. Poi ovviamente farò Matchstick man, il me stesso stilizzato: da solo, con la mia chitarra».