Quanti sono i volti del vampiro? Meglio: quel suo volto sfuggente, che neanche gli specchi riescono a fermare, di quante sfumature si è arricchito nel corso dei secoli? E, soprattutto, come mai il mito di Nosferatu, del Non-Morto, non muore mai, sempre risuscita e continua a mietere vittime e successo a piene mani? Prova a rispondere a queste domande il saggio
Il mito del vampiro di Mario Barzaghi, edito da Rubbettino – presso la cui sede viene presentato oggi alle 17,30 – nella collana intitolata
Le nottole di Minerva, una scelta indovinata: l’uccello notturno è l’immagine della filosofia omnicomprensiva che, come scrive Hegel, «inizia il suo volo sul far del crepuscolo» perché «la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta». Il libro di Barzaghi, autore in precedenza di saggi su Rousseau e Adorno, è un testo filosofico ma, sia per l’argomento sia per il tono, di semplice accesso e godibilità per tutti i lettori ai quali racconta l’intera parabola di questo che è uno degli ultimi grandi miti non solo della letteratura, come è indicato dal sottotitolo: «Da demone della morte nera a spettro della modernità». La leggenda del vampiro vive di stratificazioni che affondando le radici già nell’antichità. Pur perdendosi nella nebulosa del mito, questa vicenda entra nella storia e quindi conosce anche date precise, che Barzaghi meticolosamente annota: 1732, è quando per la prima volta il termine "vampiro" compare nell’Europa occidentale, proveniente dal serbo
vàmpir; 1819, con Il vampiro di Polidori questa figura entra definitivamente nella letteratura; 1897, l’anno della consacrazione, esce il romanzo
Dracula di Bram Stoker. Nel XX secolo sarà poi la volta del cinema, da Murnau a Coppola, da Fisher a Herzog fino ai vampiri di
Twilight). Il saggio ripercorre queste date cercando innanzitutto di raccontare lo sviluppo del mito. Non solo cronistoria di un mito millenario, ma anche tentativo di comprensione: come mai, si chiede l’autore, "esplode" questa figura così intrisa di antiche superstizioni proprio nel secolo dei Lumi? Felice in questo senso l’accostamento della figura di Dracula a quella di Don Giovanni e di Faust: i tre hanno diversi punti in comune, essendo anch’essi miti "stratificati" che hanno trovato poi una figura di "codificatore" (Mozart, Goethe e Stoker). Questi tre spettri della modernità si muovono come reazioni, anzi come ribellioni demoniache (e qui è forte la lezione di Kierkegaard): Don Giovanni ovvero il demone della sensualità, Faust come ribellione allo spirito cristiano, Dracula come segno del fallimento dello spirito moderno nel suo progetto di realizzare un universo, scrive Barzaghi, «finalmente liberato dalle sue forze oscure e dagli oggetti mitici limitanti e riducenti le sue effettive, illimitate possibilità di disposizione della natura».Kierkegaard e Dracula, una strana coppia senz’altro, ma che in fondo viene a contestare l’affermazione di Hegel della filosofia come "conciliazione": dopo il crepuscolo annunciato dal volo della nottola di Minerva, è il tempo della notte, funestato dal volo dei vampiri, che in fondo ci ricordano che, come diceva Chesterton, il pazzo non è colui che ha perso la ragione, ma colui che ha perso tutto tranne la ragione.