Il giornalista. Kaya Genç: «La mia Turchia risorgerà»
Kaya Genç
Turchia, terra divisa tra Oriente e Occidente, tra passato glorioso e futuro incerto, tra violenza e bellezza. È quello di cui racconta Kaya Genç, giornalista, romanziere e saggista di Istanbul, nel suo libro Il leone e l’usignolo. Un viaggio attraverso la Turchia moderna, appena uscito con hopefulmonster. L’autore, che presenterà il libro oggi al Salone del Libro, dopo il tentato colpo di Stato militare contro il presidente Erdogan nel 2016, parte per un viaggio alla ricerca dei luoghi e delle persone che racchiudono in sé i contrasti del Paese.
Lei ha detto che il giornalismo è un’arte. In Turchia molti giornalisti sono stati imprigionati e l’80% dei media è diventato filogovernativo. Anche l’attuale guerra tra Russia e Ucraina ha visto qualcosa di simile.
Il giornalismo è l’arte della sottigliezza e delle sfumature. Voglio che la mia prosa sia rappresentativa delle complicazioni della vita in Turchia. Quando si vive in un regime autocratico, praticare quest’arte diventa inquietante. Il governo ordina alla gente di tacere sulle questioni pubbliche. Il messaggio è: «Lasciate fare a noi, non sono affari vostri». Questo momento per il giornalismo in Turchia è spaventoso. Il governo ha dichiarato guerra ai veri giornalisti. Dobbiamo far sentire la nostra voce per preservare le sfumature. È una grande sfida, ma è vitale e non possiamo rimanere in silenzio.
La libertà di espressione e i diritti umani sono due temi centrali del libro. A che prezzo possono esistere?
In Turchia, se ci si preoccupa della libertà di espressione, delle libertà democratiche e dei diritti umani, si finisce nei guai. Il governo rappresenta questi valori come «strumenti dell’Occidente imperialista». Chiunque se ne occupi viene etichettato come agente finanziato dall’estero. Di conseguenza, la civiltà e il coraggio sono diventati due requisiti per essere un buon cittadino in Turchia. È un difficile gioco di equilibri. Dobbiamo essere dolcemente vigili, gentilmente indignati.
Un altro tema del libro è la 'fuga dei cervelli'.
La repressione aumenta di giorno in giorno: si può essere arrestati anche solo per aver condiviso un selfie in cui si beve alcol con gli amici in un giorno religioso. Lo scontro culturale non è mai stato così acuto e preoccupante. Il governo turco privilegia la sottomissione rispetto all’individualità e all’intellettualità. Per fortuna, non tutti stanno fuggendo e si può vedere per le strade e sui social un gruppo meravigliosamente pluralista di persone che vogliono il ritorno alla normalità.
Per scrivere questo libro ha trascorso il 2017 viaggiando in tutta la Turchia e parlando con cittadini di ogni estrazione sociale. Cinque anni dopo qual è la sensazione?
Cinque anni fa c’erano una sensazione di inevitabilità e un senso condiviso di paura. In una tattica che ricorda quella di Mosca, etichettava i critici come “fascisti”. Ma oggi, a causa del crollo finanziario della Turchia, i conservatori articolati e ragionevoli si stanno unendo all’opposizione. La cieca obbedienza al governo sta per diventare un ricordo: le crescenti frustrazioni hanno creato una nuova sfera pubblica che rappresenta la pluralità di questa giovane nazione. Coloro che in passato erano rimasti in silenzio si stanno unendo con un nuovo senso di responsabilità.
Chi sono i cuori selvaggi della nostra contemporaneità?
I cuori selvaggi sono individui che rivendicano il loro diritto di essere strani, anticonformisti, articolati, liberi. Nel mio libro sono “gli usignoli”. Vogliono cantare le loro canzoni, disegnare i loro ritratti, scrivere i loro romanzi, per quanto goffi, impopolari o scioccanti possano essere. Con l’aumento dell’oppressione, i cuori selvaggi diventeranno più numerosi in Turchia. È dovere dello scrittore tornare a scrivere con il cuore, che ricorda al lettore la bellezza della nostra capacità di incontrare la verità.