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La star. Kabir Bedi: "Troppo dolore, la guerra non serve a nessuno"

Angela Calvini, inviata a Torino mercoledì 2 ottobre 2024

L'attore Kabir Bedi oggi al Prix Italia a Torino

Anche attraverso il sorriso si può lanciare un messaggio di pace e fratellanza. E se ne fa portavoce dal Prix Italia della Rai a Torino Kabir Bedi, attore amato in tutto il mondo e divenuto mito in Italia per il ruolo di Sandokan, che sarà il 10 novembre protagonista in prima serata su Rai1 della fiction Questione di stoffa con Pierpaolo Spollon, per la regia di Alessandro Angelini per la serie “Purché finisca bene”. Si tratta di una favola moderna girata tra Vicenza e Treviso, una sorta di Romeo e Giulietta ambientata tra due sartorie rivali sulla stessa strada, in cui l'amore tra il veneto Matteo (il brillante Pierpaolo Spollon) e l'indiana Rani, sboccia inatteso nel bel mezzo della guerra tra le due famiglie d'origine. Da una parte i Mampresol, sarti da tre generazioni, dall'altra i Khumar - i cui antenati hanno vestito niente meno che Gandhi - impegnati a contendersi la realizzazione di una sfilata di moda.

Il grande attore indiano naturalizzato italiano Kabir Bedi, spiega ad Avvenire le ragioni profonde della sua visione della vita. Bed è nato nel 1946 a Lahore nel Punjab pakistano allora sotto la sovranità dell’impero britannico, in una famiglia indiana di religione sikh. Suo padre Baba Pryare Lal Bedi era uno scrittore e filosofo di fede sikh, discendente dal primo guru dei sikh. La madre Freda Bedi, è stata un'assistente sociale anglo-indiana, scrittrice, nazionalista indiana e monaca buddista.

Kabir lei si fa portatore di pace anche attraverso una fiction televisiva per famiglie?

Noi attori cerchiamo sempre ruoli interessanti ma il mio ruolo in Questione di stoffa per me è molto speciale perché è una storia di indiani e italiani ed è una storia perfetta per trasmettere il messaggio che la collaborazione e la cooperazione sono meglio del conflitto e che tutti abbiamo qualcosa da imparare dagli altri. Ed ho trovato in Pierpaolo Spollon un giovane attore bravissimo che è sulla stessa inea d’onda.

Come vede il futuro in questo momento così difficile?

Specialmente in questo tempo dove c'è la guerra in Europa e in Medioriente e anche in altre parti del mondo, dobbiamo trovare il modo di risolvere questi conflitti perché la guerra crea solo sofferenza e dolore, fa morire le persone, distrugge la società. La guerra veramente non serve a nessuno.

Lei pensa che una soluzione si possa trovare?

Oggi è il compleanno del Mahatma Ghandi. Seguendo il suo pensiero deve esserci l’amore anche per il nemico, la comprensione per le persone che, anche se si comportano in modo sbagliato, si possono cambiare con la forza dell’amore. In questo tempo di grandi conflitti, dobbiamo provare a creare una atmosfera dove le persone vogliano che la pace ritorni. Quando questi sentimenti mettono radici, comincia il processo per risolvere il conflitto, perché ogni conflitto si può risolvere. Lo abbiamo visto, abbiamo fatto delle grandi guerre mondiali che sono finite perché noi dobbiamo continuare la nostra vita.

La figura di Ghandi è stata importante nella sua famiglia, in particolare per sua madre.

Mia mamma aveva collaborato con Ghandi. Lei ha studiato all’università di Oxford ed ha sposato lì mio padre. Tornando in India con lui, ha deciso di raggiungere il movimento per l’indipendenza dell’India. Mio padre era comunista e faceva grandi manifestazioni e discorsi contro gli inglesi, mia madre invece aveva una disposizione molto più pacifica. Lei ha deciso di diventare una seguace di Ghandi. Il Mahatma l’ha scelta per organizzare una manifestazione non violenta nella città della nostra famiglia in Punjab. Fece scalpore la notizia di una donna inglese che andava contro gli inglesi nella città dei Bedi, discendenti di Guru Nanak Dev fondatore della religione dei sikh. Dopo l’indipendenza lei è diventata buddista. Qualche anno dopo il primo ministro indiano Nehru la nominò a capo dei campi profughi dei tibetani fuggiti dalla Cina in India insieme al Dalai Lama, e lì passò al buddismo tibetano divenendone monaca. Quindici anni dopo è diventata la religiosa buddista più alta in grado nel mondo.

Nella sua vita di oggi Kabir Bedi cosa applica degli insegnamenti ricevuti dai suoi genitori?

La filosofia di mio padre e quella di mia madre non erano le stesse, anche se i valori umani sono gli stessi. Io sono stato ordinato monaco per tre mesi in un monastero buddista in Birmania, avevo 11 anni. Poi mi sono reso conto che le strade per la verità sono tante e ho sempre cercato la mia strada per cercare quale è la verità. Rispetto i buddisti, i cristiani, gli indù e tutti gli altri se credono nei valori umani e in quello che fa del bene alla società. La tolleranza è la prima cosa che ho imparato, la diversità è la seconda e la terza è l’importanza della gentilezza. Per me la gentilezza è la più semplice forma di spiritualità che esiste. Se tu credi in qualsiasi cosa e sei gentile con chiunque, grandi o piccoli, tu sei una persona spirituale.

A proposito di spiritualità, lei ha mai incontrato un Papa?

Ho incontrato Giovanni Paolo II in occasione di un anniversario di madre Teresa, mi hanno portato a Roma in udienza. Era una grande persona. Quando ho preso la sua mano ho sentito una grande vibrazione, una vibrazione che riconosco perché l‘ho sentita anche nella mano di mio padre. Una vibrazione psichica che è molto potente, quasi come elettricità. Ho sempre ammirato papa Wojtyla, ma dopo questa esperienza per me è diventato ancora più grande.