La Juve che sente sempre più odor di scudetto vive un pomeriggio di certezze che traballano e dubbi che svaniscono. Altra giornata, altro successo. Magari più sofferto di altri, ma per questo ancor più importante. E se il Milan tiene il passo, poco importa. Il distacco resta immutato (+3), con una giornata in meno da disputare, anche se per 7 lunghi minuti, prima del vantaggio del Milan con il Genoa, e punti erano stati 5: garanzia di trionfo. Ma se non è ancora tempo di fare saltare il tappo dello champagne quanto meno si può mettere la bottiglia in frigo. Tra certezze che traballano e dubbi che svaniscono, si diceva. A livello individuale, naturalmente. Perché la Juventus resta quella, potente e imponente, che fatica e ci impiega un bel po’, ma riesce ad aver ragione di un Cesena che onora al meglio il calcio, giocando una partita di spada e di corsa, malgrado la classifica non conceda chance di salvezza. La certezza che traballa si chiama Pirlo, che potrebbe mettere la gara in discesa ma fallisce il bersaglio su rigore dopo pochi minuti. Secondo errore consecutivo dal dischetto per lui, ma pure una sapiente regia, come al solito. Il dubbio che svanisce invece è Marco Borriello, ex nemico in casa, che trova l’agognato gol quando forse ormai non ci sperava più, un gol tanto più importante perché sblocca nel finale una sfida che cominciava a sembrare stregata. Di questi tempi la Juve è così, talmente forte da potersi permettere di rinunciare perfino ai regali. Rinuncia involontaria, certo. Ma che dà il senso della superiorità. Perché vince lo stesso, malgrado un rigore fallito, proprio in apertura. Un rigore generoso, anche se solo per questione di centimetri. Vucinic fa per entrare in area, si alza il pallone a seguire, Moras lo colpisce con una mano. Appena fuori area, a dare retta a mille replay televisivi. Difficile da giudicare, sul campo. Il guardalinee è convinto del rigore, lo segnala all’arbitro. Pirlo dal dischetto spedisce la sfera contro il palo (9’). Giustizia è fatta, con ogni probabilità.E giustizia è fatta, pure col risultato finale. Perché la partita si dipana in un monologo juventino, cui peraltro il Cesena oppone tutto quel che può e anche di più, nel segno di un calcio che pare aver ritrovato lo spirito sportivo perduto (come lo stesso Novara che all’ora di pranzo aveva battuto la Lazio). Solita Juve, che attacca come una schiacciasassi. Solita Juve, che spesso non trova la via della rete coi suoi attaccanti. Matri, al rientro, conclude poco. Un inserimento di Marchisio e un palo di De Ceglie rappresentano il prodotto migliore del primo tempo. Nella ripresa, forcing accentuato, se possibile. Cesena in affanno, ma senza alzare bandiera bianca. Antonioli, ultraquarantenne, è in vena di prodezze. Conte getta il cuore oltre l’ostacolo: dentro Del Piero e Borriello. Il primo ci prova su punizione, il secondo segna con un bel sinistro (79’) su assist di Vucinic. Un gol tanto atteso, con dedica speciale, per Andrea Fortunato. E un gol che sa di scudetto. Mentre il Cesena saluta la Serie A, con onore.