Dopata di passione, di vita, e di famiglia. La classifica finale dice quinta, ma ieri Josefa Idem ha vinto la sua ottava Olimpiade. Non ci saranno altri Giochi per la donna che ha remato contro la sua carta d’identità. «Non siate tristi per me: questo è il momento di smettere, era diventata troppo dura». Parla nascondendo una lacrima senza tristezza sotto gli occhiali a specchio. La sua droga olimpica è finita. Una dose ogni quattro anni è accettabile, di più no. Giocare con i migliori è bello, ma stanca. Ci si abitua all’eccezionalità, si comincia a pretendere l’eccesso, a esigere il miracolo quotidiano. La sua grandezza alla fine è quello di averlo capito, di averlo accettato sorridendo. Come una fatalità positiva. Josefa Idem compirà 48 anni a settembre, un’età nella quale le Olimpiadi al massimo si giocano davanti alla tv, con una birra in mano e i piedi sul sofà. Lei ieri ha pagaiato come una ragazzina, ha lottato, ha spinto la sua canoa con la testa più che con le braccia. Razza tardona. Senza offesa, anzi con affetto e ammirazione. Perché l’Olimpiade non ammette gerontocrazie senza merito: se sei qui, lo hai meritato. I calli sulle mani contano più delle medaglie arretrate, del nome, delle stellette. Non rubi il posto a nessuno se corri più forte di lui. Lo sport però non ha cosmesi. Basta un attimo, per restare indietro, il cronometro è peggio di un una malattia: non fa sconti. Chi continua a sfidarlo anche dopo una certa età, ha di certo la benedizione del fisico che regge. Ma soprattutto motivazioni, coraggio, cuore. Chi si stanca muore prima. Chi resiste, cresce. Ma chi sa arrendersi al senso del limite ha vinto la sua partita. Ieri Josefa avrebbe dato chissà che cosa per vincere la sua ultima corsa sull’acqua, per un’altra folle medaglia di una carriera senza uguali. Poi invece, battuta e sollevata dal peso di dover continuare a sfidare il tempo, è scesa dal suo vascello sottile per spiegare a tutti che lo sport è una cosa dove vince uno solo, fosse anche di tre decimi di secondo. E che perdere non è poi la fine del mondo. In quel momento Josefa ha perfezionato il suo mito. «Inspire a generation», dice - ossessivamente, su ogni striscione - lo slogan di questa Olimpiade. «Spero di aver ispirato la mia generazione: non è mai troppo tardi per mettersi in moto», dice lei. Con perfetta scelta di tempo. E questo è il messaggio più importante che la Idem ci lascia. Dimostrandoci anche nel giorno dell’addio che gli esempi positivi esistono ancora, che possiamo rubare i suoi 35 anni di carriera per portarli con noi. E continuare a credere che, nonostante tutto, lo sport ogni tanto regala storie, facce e giorni che ci insegnano a vivere.