Intervista. La «rivoluzione elettronica» di Jean-Michel Jarre
Jean-Michel Jarre in una delle esibizioni del tour americano. Per i suoi 50 anni di carriera si è regalato il doppio cd “Planet Jarre” (Erik Voake Cedda)
«Non esiste limite per chi fa arte: l’unico sta nell’immaginazio-ne dell’artista». Voce gentile e sorridente, Jean-Michel Jarre parla al telefono da Londra, e il pretesto della chiacchierata è l’uscita oggi del doppio Planet Jarre, antologia ragionata con cui l’artista di Lione celebra cinquant’anni di musica scomponendo la propria opera in quattro aree più che tematiche emotive, ovvero Soundscapes i paesaggi sonori, Themes le melodie, Sequences le sequenze ed Explorations & early works piccole e grandi rarità. Jarre non è solo un pioniere della musica elettronica, pioniere che solo per i 41 brani dell’antologia ha utilizzato (se ci credete) 140 fra tastiere e strumentazioni varie; in realtà con la sua opera spesso ha dato il “la” a nuove strade, facendo da apripista a linguaggi come ambient o new age e da ispiratore di un’enormità di pop sintetico anni Ottanta/Novanta (basta ascoltare Zoolookologie o Magnetic fields 2per ritrovarvi le radici di tante hit). Ascoltando Planet Jarre, che va dal primo notevole episodio composto da Jarre nel ’68 ai giorni nostri, quello che colpisce dell’autore di Oxigène, faccenda del ’76 da dodici milioni di copie, è come la sua notevole ricerca di suono sia sempre stata approcciata suonando davvero più che programmando, senza dimenticare la parte melodica e finendo col dar vita a una musica al contempo di radici solide e incredibile futuribilità, divenuta non per caso base e ispirazione della musica dagli anni ’80 in poi in molti dei suoi modi. In carriera Jarre ha inciso ventitré album (da Deserted palacedel ’72 a Oxigène 3del 2016), ma nell’antologia colpiscono anche gli estratti delle sue ricerche, opere di suggestione e contenuto come Souvenir of China, Hypnose, Blah Blah Café e la storica Music for supermarkets dell’83, unica testimonianza di un album distrutto dallo stesso artista. Però la chiacchierata con Jean-Michel Jarre non parte dai suoi 50 anni d’arte, bensì dal diritto d’autore appena ribadito anche per il web dal parlamento europeo: nella misura in cui l’artista dal 2013 è anche presidente della Confederazione Internazionale delle Società di Autori e Compositori.
Che cosa si rischia svilendo il diritto d’autore?
«La proprietà intellettuale è cruciale per il futuro dell’arte, anzi è il futuro stesso. Tanto che a volte mi meraviglio di come troppi artisti non si impegnino per difenderlo. Dovrebbero farlo anche industrie come quelle del disco, è l’arte a creare il loro lavoro e il loro reddito. Ma soprattutto, se non ridefiniamo l’importanza del diritto d’autore non avremo artisti futuri. È cavilloso parlare di libertà d’espressione o informazione come hanno fatto i colossi del web: in realtà il mancato rispetto del diritto d’autore non è un problema di Jarre, ma di ogni famiglia. Ogni famiglia che abbia un bimbo che un giorno vorrà fare foto o creare un videogioco, e i cui sogni verrebbero vanificati e avviliti dal principio».
Venendo al suo mezzo secolo nell’elettronica, oggi sa dire qual è il pregio maggiore di quel linguaggio?
«Penso dipenda da come si usa. Quando io ho iniziato non mi piaceva guardare alla musica partendo dal solfeggio bensì dalle emozioni, e l’elettronica è la possibilità di mondi nuovi, una rivoluzione. Fu quando ascoltai suoni di natura e strada su certi strumenti, che partì davvero il mio far musica: non tanto, poi, lavorando sulla tecnologia ma sul creare un mondo e uno stile. Come fece Jackson Pollock versando il colore, usando il corpo per dipingere o provando nuovi materiali. L’elettronica permette a noi musicisti cose simili: e puoi comporre dovunque».
Avrà dei limiti, però, o no?
«Il limite è nell’immaginazione dell’artista. Puoi avere in mano uno Stradivari o un computer ma dipende sempre da te la qualità di quanto suoni e componi».
Per Planet Jarre lei ha scelto masterizzazioni in 5.1 e dice di non aver paura della fruizione liquida e spezzettata della musica. Ma qual è oggi per Jean-Michel Jarre il miglior modo possibile di ascolto?
«Ecco, questa è una questione complessa. Il vinile non è perfetto ma è caldo, il cd tiene meglio la qualità dell’incisione, l’mp3 qualche pregio ce l’ha, il live è un ideale possibile… Penso che l’alta definizione sonora sia l’approccio oggi più puro, però siamo in continua evoluzione su questo fronte».
Qual è il lavoro di cui va più orgoglioso?
«Per un artista è sempre il prossimo, che nel mio caso uscirà a breve: mi piace provare ad aprire nuove strade pur sapendo benissimo che lo stile è quello, che come tutti vado sempre più a fondo nelle basi di un linguaggio che mi appartiene e mi identifica».
E dove va invece la musica del futuro?
«La tecnica non è la sola a definire gli stili possibili, c’è anche il format: pensi alle durate dei brani dipese via via dallo spazio su un 78 giri, dalle possibilità dei juke box, dalle esigenze delle radio… E soprattutto c’è la gente: se vorrà qualità dovrà dedicarle tempo. A prescindere dai media perché la bella musica regge anche sui laptop. Io penso però che vincerà sempre un far musica creativo che provi a diffondere se non felicità, almeno serenità».