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L'Oscar a Sorrentino. "La grande bellezza" / Ivan Maffeis: alla ricerca della verità

Angela Calvini martedì 4 marzo 2014
«Un film che racconta con grande capacità nelle musiche, nei colori, anche in questi antichi palazzi, nelle terrazze spalancate sulla città, il lungotevere. Questo sarà stato stato uno dei motivi per cui gli americani sono rimasti affascinati, Ma per noi italiani La grande bellezza vuol dire molto di più». Don Ivan Maffeis, presidente dell’Ente dello Spettacolo, analizza il fresco premio Oscar a Sorrentino.Don Maffeis, qual è il maggior pregio del film di Sorrentino?«Noi dobbiamo a Sorrentino la profondità con cui ha rappresentato uno spaccato dell’umanità che abita la città, anche se non ne esaurisce la totalità degli abitanti. Un’umanità che è sfatta, che si trascina in rapporti banali e inconsistenti e di cui son parte, purtroppo, anche certe figure religione. Mi ha colpito il cardinale impersonato da Roberto Herlitzka, preoccupato più di dare lezioni di cucina che di accogliere la domanda di senso, religiosa, che guarda a un orizzonte più grande, posta dal protagonista Toni Servillo. Il valore del film sta in questa capacità di Sorrentino di presentarci un’umanità decaduta con occhio disincantato».Anche se non tutti gli italiani sono così...«L’Italia è fatta dalla gente comune che non ha tempo né voglia di fare trenini, presa da tanti altri orizzonti, dagli affetti e dalla fatica di costruirli, dai problemi di lavoro e dal problema di mantenerlo, dal confronto con la malattia. Nel film ci sono delle sequenze sulla malattia che ci appartiene e che riporta quell’umanità lì alla verità di ciò che siamo».Un Oscar, quanto è importante per l’Italia?«L’Oscar mostra che il Paese ha bisogno di gente migliore di quella narrata nel film. E le premesse ci sono: l’Italia ha risorse, non si esaurisce in quella umanità, ha creatività e ingegno. Mi auguro che questo film diventi un appello alla politica. È chiaro a tutti: questa non è solo una crisi economica, culturale e spirituale. Il film la fotografa bene. La statuetta ci consegna, più che tanta gloria, tanta responsabilità». Non è che però il film di Sorrentino può dare all’estero un’idea sbagliata dell’Italia?«All’estero coglieranno la bellezza del nostro Paese e della sua cultura. Certo, Benigni ne La vita è bella aveva raccontato il nostro periodo storico più drammatico con una carica positiva che contiene la risposta all’immagine decadente di Sorrentino. In lui ci sono cinismo e amarezza, ma anche molta ricerca di senso. C’è la domanda sulla bellezza, tradita dalle promesse non mantenute».L’Academy premia però anche la nostra capacità di raccontarci.«Le splendide immagini raccontano le risorse di un Paese che non può essere solo memoria. La città dell’uomo non è semplicemente inquinamento e plastica, occorre tornare alle radici. E visto il crollo dei consumi culturali di cui soffre il nostro cinema, questo Oscar invita a mantenere lo sguardo alto sulla cultura che passa anche attraverso i nostri film. È un appello a investire in questo settore dell’industria culturale del Paese: anche su questa strada si costruisce bellezza». L’Oscar farà bene al cinema italiano?«Sono certo di sì. Proprio ieri ho incontrato Nicola Borrelli, direttore generale per il Cinema del ministero dei Beni e delle attività culturali e del Turismo. C’è una grande disponibilità di confronto per lavorare insieme sulla qualità artistica, sui contenuti, ma anche lo sforzo a favorire la distribuzione. La crisi ci obbliga un po’ di più a guardarci in faccia e a condividere un orizzonte comune».