IL CASO. Italiani nei Lager, così fu rotto il silenzio
Frutto di un rigoroso lavoro di documentazione, il volume esibisce in bibliografia il regesto pressoché completo dei libri apparsi già a partire dal 1944, anno del celebre Otto ebrei di Giacomo Debenedetti ma anche dell’altrimenti sconosciuto L’internata numero 6 di Maria Eisenstein. La trattazione vera e propria, però, si concentra sulle diverse tipologie – o, se si preferisce, sui diversi generi – in cui la «letteratura concentrazionaria» nostrana può essere suddivisa. Sette in tutto, dal saggio alla poesia, passando per lettere e diari, racconti e romanzi, oltre che per l’autobiogra- fia. Di ciascun ambito Elena Rondena prende in esame tre opere, per un totale di venti autori, dato che di uno stesso scrittore, il romano Aldo Bizzarri, si analizza sia il saggio Mauthausen città ermetica (1946) sia il romanzo Proibito vivere (1947). Alcune esclusioni possono forse colpire, come quella del Diario clandestino di Giovannino Guareschi, ma sono comunque compensate dalla ricchezza complessiva di informazioni e dall’originalità degli altri esempi selezionati.
Di particolare utilità è la cronologia suggerita dalla studiosa. Alla cosiddetta «emorragia di espressione» degli anni immediatamente successivi la fine del conflitto non corrisponde un adeguato interesse dell’industria editoriale. Lo stesso Levi, com’è noto, fatica a pubblicare Se questo è un uomo: rifiutato da Einaudi, il libro esce infatti in sordina nel 1947 presso la torinese De Silva. Appena in tempo, si potrebbe dire, perché dal 1948 alla metà degli anni Cinquanta sull’argomento pare calare il silenzio, rotto poi in modo definitivo proprio dall’edizione einaudiana del capolavoro di Levi (1958), alla quale si accompagnano le traduzioni italiane del Diario di Anna Frank, della Specie umana di Robert Antelme e di altri titoli capitali. Da allora l’interesse va rafforzandosi sempre più, consentendo fra l’altro la pubblicazione di alcuni dei testi scelti da Elena Rondena, come il vasto corpus epistolare del cattolico Odoardo Focherini, le poesie dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso e Il silenzio dei vivi di Elisa Springer. Grande attenzione è riservata agli scritti delle donne, tra cui spicca Questo povero corpo di Giuliana Tedeschi, che nel 1946 sembra anticipare il titolo del libro di Levi. Ma anche Alba Valech, che nello stesso anno dà alle stampe il suo A 24029 , utilizza una strategia in parte simile a quella che ritroveremo in Se questo è un uomo, anteponendo al racconto una poesia dall’andamento salmodiante. Il riferimento all’Inferno dantesco, che tanta parte avrà nella riflessione di Levi, emerge occasionalmente in Filo spinato, il diario che l’ufficiale Giuseppe Zaggìa diffonde già nel 1945. Si tratta – sia chiaro – di coincidenze del tutto autonome e comprensibili, così come la presenza della famigerata «corriera azzurra» segnalata in modo indipendente dai superstiti di Mauthausen: un mezzo che, nella versione ufficiale del Lager, sarebbe stato usato per i trasferimenti, ma che in realtà trasportava i condannati a morte.
Un altro aspetto che si presenta a più riprese riguarda le radicate convinzioni religiose alle quali gli internati fanno appello per resistere agli orrori dell’universo concentrazionario. Lo sguardo della fede si ritrova, per esempio, in Triangolo rosso del sacerdote milanese Paolo Liggeri, ma anche, e con intensità straordinaria, nel Diario da Gusen e nelle Lettere a Maria del pittore Aldo Carpi: «È la luce del Verbo che vince – annota quest’ultimo in una pagina –, è il tutto che è nulla, è il minimo che è il massimo». Una testimonianza, anche questa, che chiede ancora di essere ascoltata.