Agorà

IL CASO. Italiani deportati, l’opera di Schuster

Paolo Simoncelli martedì 19 febbraio 2013
​Sembrava una comunicazione ordinaria: il 19 ottobre 1944 il nunzio apostolico a Berna, monsignor Filippo Bernardini (che triangolava col Vaticano per mantenere i contatti con tutte le diocesi nel territorio della Repubblica Sociale Italiana) trasmetteva all’arcivescovo di Milano, cardinal Ildefonso Schuster, segnalazioni dalla Segreteria di Stato perché gli «internati italiani in Germania, quasi tutti ora trasformati in liberi lavoratori» venissero sovvenuti nelle loro dolorose necessità dalle «autorità italiane del nord». Il 24 copia del dispaccio veniva inoltrato a Mussolini dal segretario del cardinale, don Luigi Corbella, che aggiungeva essere il presule «ben lieto, accogliendo la voce del Santo Padre, di venire in aiuto dei nostri ex internati», anzi d’essersi già fatto «promotore presso i Parroci di una vasta raccolta di indumenti», ma che prima di inoltrare tutto voleva «sapere se il Governo Repubblicano» avesse la possibilità «di far giungere con urgenza e con sicurezza detti indumenti agli ex internati». Due osservazioni: gli Internati militari italiani (Imi) dalla fine di luglio 1944, a seguito di un accordo personale Mussolini-Hitler, erano stati chiamati a scegliere tra l’arruolamento nelle formazioni militari tedesche o della Rsi, il nuovo status giuridico di lavoratori civili presso aziende industriali o agricole tedesche, o rimanere internati; le controverse modalità del rilascio (tuttora oggetto di ricerche tedesche e italiane) videro comunque un 80% circa di Imi divenire lavoratori civili. Altra osservazione riguarda l’immediato seguito della richiesta del nunzio a Berna: Schuster anziché «sollecitare» le autorità della Rsi, si assumeva personalmente l’onere dell’aiuto; per giunta negli stessi giorni in cui era riuscito a far allontanare da Milano il risoluto capo dell’Ufficio politico della Guardia nazionale repubblicana (guadagnandosi con ciò le accuse di voler dunque «favorire i comitati di liberazione») e aver ottenuto dalla Segreteria di Stato l’autorizzazione ad inviare cappellani anche presso «truppe partigiane». Il 26 ottobre nella sede dell’arcivescovado si ebbe l’incontro di Schuster col commissario della Croce rossa della Rsi, Coriolano Pagnozzi, che – giusta le richieste di don Corbella a Mussolini – doveva fornire le necessarie garanzie per la sicurezza e la celerità dell’operazione. Dopo il colloquio Pagnozzi inviò due relazioni, il 27 e 29 novembre, una al cardinal Schuster (diversa e più ampia rispetto a quella resa nota nella raccolta di documenti del presule, Ultimi tempi di un regime, Milano 1946), l’altra al sottosegretario agli Esteri Serafino Mazzolini; in entrambe ricordava la struttura organizzativa e logistica che presiedeva all’assistenza di tutti gli italiani in Germania, dando dettagli dell’azione svolta per andare incontro fra mille difficoltà alle esigenze di «circa 580.000 internati» e che si concretizzò nell’invio di 270 vagoni di generi alimentari, 16 contenenti «vestiario completo per circa 50.000 ex internati» e 223 contenenti oltre 280.000 pacchi individuali, tutto giunto a destinazione. Per Pagnozzi allora Schuster avrebbe preso atto con fiducia della situazione, «esprimendo parole di viva ammirazione per chi aveva generosamente disposta tale assistenza e per chi fedelmente ed appassionatamente la eseguiva», assicurando pertanto che avrebbe provveduto all’invio del materiale raccolto «in vagoni chiusi, piombati e recanti cartelli e sigilli della Croce Rossa» che, via Svizzera, sarebbero giunti alla frontiera tedesca dove sarebbero stati presi in consegna dalle autorità diplomatiche della Rsi. L’11 novembre un «Appunto per il Duce» preparato dal sottosegretario Mazzolini ricordava che Schuster s’era rivolto anche all’ambasciatore tedesco presso la Rsi, Rudolf Rahn, chiedendogli «il consenso per l’invio di due sacerdoti per l’assistenza agli ex internati», ma l’ambasciatore prima s’era trincerato dietro una propria incompetenza poi – continua l’appunto – «ha aggiunto che egli non ritiene sia il caso dar corso alla richiesta tenuto presente l’atteggiamento politico dell’Arcivescovo di Milano». Questa frase è segnata a margine da freghi blu con un «No», probabilmente autografo del destinatario. Quei due sacerdoti, secondo il documento, avrebbero dovuto «sorvegliare sul posto la distribuzione». Il 29 novembre Schuster inviò una lettera tutta autografa a Mussolini (non pubblicata nella raccolta di documenti del presule) ricordando come «l’iniziativa del S. Padre, d’inviare ai nostri ex internati in Germania cibarie e biancherie, affiancando le provvidenze dell’Eccellenza Vostra attraverso la Croce Rossa Italiana, ha trovato nell’Archidiocesi larghissima corrispondenza per oltre 20 milioni di roba»; tutto il materiale però avrebbe dovuto esser consegnato al nunzio apostolico a Berlino monsignor Orsenigo «a nome della stessa S. Sede». Con ciò Schuster adombrava molto diplomaticamente qualche perplessità rispetto all’ordinaria via di consegna. Il 1° dicembre un telegramma di Mazzolini a Filippo Anfuso, ambasciatore della Rsi a Berlino, anticipava il parere favorevole di Mussolini; il 4 dicembre seguiva la lettera ufficiale di ringraziamento di Mazzolini, a nome di Mussolini, a Schuster (da questi pubblicata con una nota che ricorda la propria insistenza per evitare il tramite della Cri). Non era finita; mentre erano in corso questi contatti, la Segreteria di Stato il 1° dicembre inoltrava a Schuster un’altra richiesta: sarebbe stato possibile, per aiutare i «prigionieri italiani in Germania» con «pacchi nominativi e collettivi dall’Italia del Nord», inviare denaro a Milano? Si attivava di nuovo don Corbella che il 5 dicembre, da parte del cardinale, presentava la richiesta al duce, ricordando d’essersi già rivolto «al signor Ambasciatore Germanico» per ottenere «l’autorizzazione del suo governo», e perciò minimizzando la portata dell’iniziativa («Esclusivamente religiosa e limitata alla Diocesi di Milano», anzi sostenuta solo dai «fedeli della campagna ove ancora ci sono molte cibarie che forse andrebbero a (in)crementare il mercato nero»). Ricevuto il parere favorevole da Mussolini, le autorità tedesche di Milano acconsentivano a loro volta, suggerendo però il tramite esclusivo della Cri. Superati gli ultimi ostacoli frapposti da una burocrazia meticolosa, 440 casse di generi vari d’assistenza il 16 dicembre partivano finalmente da Milano. Quel giorno Schuster svelò in un appunto le proprie ragioni per evitare il tramite della Cri: timori di suddivisione del materiale tra «Germanici e Fascisti». Sospetti smentiti da un giovane diplomatico italiano a Berlino, Luigi Villari, testimone dell’inoltro diretto degli aiuti alla Nunziatura, non all’ambasciata della Rsi. Un mese dopo monsignor Orsenigo da Berlino poteva infatti rassicurare «di aver ricevuto le casse». Malgrado il permanere dei timori di Schuster (l’importo della spedizione superava i 25 milioni), nuovi documenti oggi confermano la corrispondenza dell’elenco minuto dei 5 vagoni partiti con quelli arrivati. Quella volta almeno andò bene.