La prima mano bionica indossabile è una straordinaria realtà italiana, capace, forse come non mai, di avvicinare la scienza alla riproduzione di un fenomeno naturale. Perché questa invenzione,
LifeHand2, che raccoglie le positive intuizioni sviluppate cinque anni fa nella prima protesi rispondente agli impulsi cerebrali, non solo consente al 36enne danese Dennis Aaabo Sorensen, amputato di mano sinistra, di manipolare oggetti con la giusta forza rispondendo agli impulsi del cervello ma permette anche di trasmettere sensazioni tattili alla mente, facendo cioè "sentire" forme e consistenze degli oggetti impugnati nel 78% di prese effettuate. «Quella del feedback sensoriale è stata per me un’esperienza stupenda – racconta Dennis –. Tornare a sentire la differente consistenza degli oggetti, capire se sono duri o morbidi e avvertire come li stavo impugnando è stato incredibile».Quanto testato con successo in Italia, insomma, apre la strada all’impianto definitivo di mani bioniche. Per la sua rilevanza, lo studio (finanziato da Ue e da ministero della Salute italiano) è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista
Science Translation Medicine. Affinché il paziente sia oggi in grado, nell’88% dei casi, di definire correttamente dimensioni e forme degli oggetti e, con il 97% di accuratezza, di localizzare la loro posizione rispetto alla mano, riuscendo a dosare con ottima precisione la forza da applicare per afferrarli, è stato necessario un intervento durato più di otto ore, eseguito un anno fa al Policlinico "Gemelli" di Roma dal neurochirurgo Eduardo Marcos Fernandez. Lo specialista ha impiantato nei nervi del braccio di Dennis quattro elettrodi intraneurali (sviluppati nel Laboratorio Imtek dell’Università di Friburgo), poco più grandi di un capello, al fine di creare un collegamento tra sistema nervoso e protesi biomeccatronica.Parallelamente, il gruppo di lavoro di Silvestro Micera, docente di Bioingegneria nell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e nell’Ecole Polytecnhique federale di Losanna, ha sviluppato una serie di algoritmi «capaci di trasformare in un linguaggio comprensibile al cervello di Dennis le informazioni provenienti dalla mano artificiale».Così Paolo Maria Rossini, responsabile clinico della sperimentazione presso l’Irccs San Raffaele Pisana di Roma e direttore dell’Istituto di Neurologia dell’Università Cattolica - Policlinico Gemelli, riferisce le sue emozioni al termine dell’esaltante percorso scientifico: «Ci siamo presentati un po’ come i ricercatori della prima missione lunare: dopo anni di lavoro spingi il bottone, fai partire l’astronave e da lì non puoi più tornare indietro». Ma il viaggio non ha riservato sorprese negative.Anzi. «La sperimentazione – dichiara Eugenio Guglielmelli, direttore del Laboratorio di Robotica biomedica e biomicrosistemi dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – ci fa guardare con fiducia all’obiettivo d’integrare in questo tipo di protesi un numero sempre più elevato di sensori tattili». Entro due anni, giurano gli autori dello studio (tra i quali c’è anche l’attuale ministro dell’Università, Maria Chiara Carrozza), la mano
made in Italy sarà in grado di sentire caldo e freddo, e di eseguire compiti più sofisticati, come scrivere e suonare uno strumento.