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Musica. Luigi Cinque: «Italia colonialista, la mia opera per la verità»

Angela Calvini venerdì 3 dicembre 2021

Il compositore, musicista e regista Luigi Cinque

Un’opera lirica che alza il velo su una pagina di storia rimossa, quella del colonialismo italiano, per capire le ragioni delle migrazioni di oggi. Si tratta di E tu, che ne sai del futuro?, composta dal maestro Luigi Cinque, su libretto dello scrittore Sandro Cappelletto, che debutta stasera al Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena. Ce lo racconta Luigi Cinque, maestro delle contaminazioni, compositore, etnomusicologo e regista di film e documentari, in questi giorni tour in duo con il violinista Alex Balanescu, nell’attesa di dedicarsi alla sua creatura più cara, il classico concerto di Santo Stefano, il 26 dicembre prossimo all’Ara Coeli di Roma giunto alla sua 23ma edizione.

Maestro Cinque, da dove nasce l’idea di un’opera dalla tematica così scottante?

E tu, che ne sai del futuro? è nata all’interno del progetto europeo Cross opera, risultato vincitore di un programma finanziato dall’Unione europea che, con il sottotitolo Otherness: Fear and Discovery, sviluppa tre storie sull’immigrazione nei Paesi europei. Intorno al tema della paura e della scoperta dell’altro sono stati chiamati a esprimersi tre compositori, il sottoscritto per l’Italia, il tedesco Valentin Ruckebier e la serba Jasmina Mitrusic Djeric, riunendo il Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, il Landestheater austriaco di Linz e il Teatro nazionale serbo di Novi Sad. La conclusione è univoca: accettare la diversità è l’unico modo che ci può far progredire.

Come si sviluppa il lavoro italiano?

La paura per chi è diverso da noi è il tema centrale di questi tempi. È stato molto stimolante il lavoro con lo scrittore Sandro Cappelletto, che accompagnato da una piccola orchestra e sei voci liriche fa anche la voce recitante. Nel libretto parte da una considerazione del colonialismo italiano e continua fino ad oggi, affrontando il discorso sul diverso e anche il mondo femminile ancora discriminato nel nostro Paese. Da cosa è stata la nostra colonizzazione, per arrivare alla coscienza nel contemporaneo, alla tolleranza, alla sussidiarietà, al cercare un modo di stare insieme che è sempre complicato. Tutti temi che condivido pienamente.

Come si traduce in musica un tema come , quello del colonialismo italiano?

Inserisco frammenti e citazioni da Ligeti, da Berio e da Verdi. E cito anche Faccetta nera perché noi dobbiamo cominciare ad avere il coraggio di parlare della nostra memoria: questo Paese non ha mai guardato la propria storia moderna con l’intensità giusta. Ci sarà l’uso del linguaggio della musica contemporanea che ho imparato dai miei maestri e che poi ho in parte abbandonato per passare alla musica popolare con il Canzoniere del Lazio e poi etnica. Sono anche influenzato da quella grande rivoluzione del teatro e della danza d’avanguardia che ho appreso collaborando con Pina Bausch e Carmelo Bene, ovvero “la drammaturgia delle arti”, le arti insieme creano una nuova drammaturgia.

La sua musica è stata anche un ponte di pace.

Sono stato chiamato in tante occasioni come ambasciatore di pace con la mia orchestra, c’erano grandi speranze. Nel 1998 portai a Nairobi Appunti per un Aiace africano da Sofocle per festeggiare i 50 anni diritti dell’uomo. Poi andammo in Yemen, Pakistan, Bogotà e a Tripoli con l’Orchestra tradizionale libica per il concerto di riconciliazione dopo la guerra del 2011. Questo rapporto con le culture, questo viaggio musicale e poetico mi ha portato alla scoperta del mito come valore di scambio. In grandi eventi diversi dalla nostra dimensione europea, emergevano in scena personaggi mitologici con impressionanti tratti comuni. Credo che sulla dimensione del mito si potrebbe costruire una nuova rappresentanza dell’umanità intera con molti punti in comune.

Il dialogo musicale continua nel concerto di Santo Stefano a Roma.

Si tratta di un concerto di mia invenzione che in 24 edizioni si è affermato come uno degli appuntamenti canonici della città, che si terrà il 26 dicembre alle 11 di mattina nella Basilica Santa Maria Ara Coeli. Un concerto nato e cresciuto coi francescani della basilica, che sono meravigliosi e molto aperti, che metterà a confronto quello che le altre culture hanno prodotto in relazione alla liturgia cristiana, come la Missa Luba, la Messa flamenca e tutte le messe mediterranee. Avremo una rilettura particolare dei testi sacri della musica del seicento europeo e di Monteverdi usati come interfaccia di una Cantata di Pace Mediterranea, con canti siciliani, ortodossi e ebraici. Accompagnati dalla mia Hypertext O’rchestra che dirigerò, avremo il grandissimo violinista Alex Balanescu, la cantante mongola Urna Chaktar Tugki, i fratelli Mancuso, cantanti siciliani vincitori all’ultimo Premio Tenco, il grande musicista ispanico Efren Lopez in duo con la cantante franco curda Eleonore Fourniau.

Qual è il suo rapporto con la spiritualità?

È un rapporto decisivo, è una traccia che non possiamo non alimentare e abbandonare. La spiritualità si può vestire in molti modi, il messaggio, se la spiritualità è piena, arriva sempre allo stesso livello di sguardo che è quello che ci serve per risolvere i problemi del mondo, cosa che non può fare la politica.

Infine la regia. Ha qualche novità in lavorazione?

La regia di film e documentari nasce con i miei grandi viaggi internazionali, mi sono misurato per la prima volta con Transeuropa hotel storia di un musicista brasiliano scomparso, che ha avuto ottimi riscontri internazionali. Adesso sto finendo un film su Beckett che uscirà nella primavera del 2022. I personaggi del drammaturgo escono dai loro libri, sono storie di musicisti: quelle di Vladimiro ed Estragone o Winnie si intrecciano coi personaggi del mito, fra cui Persefone rapita dal dio Ade nella pianura di Enna. La storia si svolge in Sicilia con molta musica popolare e la partecipazione di corali sacre siciliane, di quintetti greci, di violinisti, oltreché del Balanescu Quartet e di Petra Magoni e Davide Riondino.