Agorà

IL CASO. Irlanda, il «libro nero» degli inglesi

Riccardo Michelucci giovedì 25 giugno 2009
La storia dell’umanità ha cono­sciuto innumerevoli genocidi, non si contano i popoli e le et­nie sottoposte a stermini, deporta­zioni ed epocali tragedie, ma forse quello dell’Irlanda rappresenta il caso esemplarmente unico di un paese soggiogato, sfruttato e affa­mato da una potenza coloniale che per secoli ne ha schiavizzato, de­portato e ucciso la popolazione con scientifica regolarità. Fin dall’età tardomedievale gli irlandesi hanno cercato di difendere il loro territo­rio elevando lo scontro con l’occu­pante inglese fino a livelli di estre­ma intensità e consentendo alla propaganda nemica di costruire e alimentare il primo dei grandi miti che caratterizzano da sempre il rap­porto tra inglesi e irlandesi: che questi ultimi fossero dei barbari sanguinari, indisciplinati e guer­rafondai che potevano essere ' e­ducati' soltanto usando le manie­re forti. La rappresentazione del na­tivo irlandese nelle fattezze di un bruto, con tratti quasi animaleschi, appare molto presto nell’iconogra­fia medievale e attraverso un per­corso evolutivo contribuisce nel corso dei secoli alla nascita e allo sviluppo di un razzismo anti-irlan­dese che sopravvive ancora oggi in Gran Bretagna. E proprio questa immagine ha contribuito in modo determinante a nascondere la realtà di un colonialismo spietato con­sentendo alla classe dirigente in­glese di giustificare il proprio ope­rato nella vicina isola. La missione 'civilizzatrice' di Oli­ver Cromwell, che alla metà del X­VII secolo sbarcò in Irlanda per da­re una lezione ai nativi «barbari e assetati di sangue» e la decisione del governo di Londra di inviare, nell’agosto 1969, migliaia di solda­ti nel nord Irlanda, ultimo, micro­scopico relitto dell’Impero i cui a­bitanti chiedevano uguaglianza e pari opportunità come i neri d’A­merica, rappresentano due stelle polari che - seppur separate da tre secoli di storia - spiegano con e- strema chiarezza i sentimenti degli inglesi nei confronti delle popola­zioni dell’isola vicina. Tuttavia il di­sprezzo successivamente trasfor­mato in vero e proprio razzismo nei confronti della presunta inferiorità degli irlandesi, affonda le proprie radici molti secoli prima dell’epo­ca di Cromwell e costituisce l’alibi della plurisecolare esperienza co­loniale. È possibile individuare un ipotetico punto di partenza nel lon­tano XII secolo, in epoca norman­na, quando ancora né l’Inghilterra né tanto meno l’Irlanda rappresen­tavano entità statuali compiute in senso moderno. Ma la fase di non ritorno, l’incancrenimento defini­tivo di una storia destinata ad arri­vare tristemente fino ai giorni no­stri può essere invece individuata alcuni secoli più tardi, all’inizio del­l’era elisabettiana, quando le plan­tation di coloni inglesi e scozzesi sul suolo irlandese avrebbero creato le condizioni per la nascita di un’i­dentità protestante all’interno di un paese fino ad allora totalmente cat­tolico. Il periodo della riforma an­glicana coincide con una svolta de­cisiva nella politica inglese in Irlan­da non solo perché da quel mo­mento in poi il papato non sarà più alleato della Corona, ma anche per­ché nascerà quell’identificazione tra religione cattolica e cultura gae­lica destinata a introdurre il perni­cioso e fuorviante elemento reli­gioso nella lotta politica. In Irlanda le divergenze confessio­nali appaiono tuttavia la conse­guenza - più che la causa - del di­segno egemonico inglese e per que­sto la definizione di 'guerra di reli­gione' appare inadeguata non sol­tanto oggi, ma anche nelle prece­denti fasi storiche del conflitto. Non è d’altra parte casuale che i primi sedici re inglesi che si impegnaro­no nella conquista dell’Irlanda fos­sero cattolici. A partire dal­l’Alto Medioevo, l’intero svi­luppo storico dell’Irlanda è stato condizionato dalla violenta ingerenza del po­tente vicino. Per questo mo­tivo non è corretto afferma­re l’esistenza di una 'que­stione irlandese' ma più propriamente di una tragi­ca e interminabile ' que­stione anglo-irlandese'. Quando i soldati di Sua Maestà sbarcarono in Irlanda nel 1969 al­l’alba della nuova, cruenta fase del conflitto, la popolazione inglese e­ra davvero convinta che dietro l’in­tervento di Londra non vi fosse al­cun interesse se non quello di ri­stabilire la pace tra la comunità cat­tolico- nazionalista e quella unioni­sta- protestante. I fatti avrebbero poi dimostrato una realtà ben diversa e le persecuzioni, le torture, le ucci­sioni sommarie di uomini, donne e bambini irlandesi compiute dai sol­dati e dalle forze speciali inglesi in quegli anni e nei successivi dimo­strarono non solo che la 'delega in bianco' consegnata secoli prima ai coloni non bastava più a controlla­re la turbolenta provincia dell’( ex) Impero, ma anche che il razzismo anti-irlandese insito nel­la cultura inglese aveva spinto i sol­dati di Sua Maestà a macchiarsi di delitti che mai e poi mai avrebbero potuto o voluto compiere a casa lo­ro. I paracadutisti inglesi che spa­rano su un corteo per i diritti civili a Derry, le forze speciali che ucci­dono i bambini sparando proietti­li di plastica nelle strade o i soldati che freddano alle spalle un ragazzo disarmato dopo avergli controllato i documenti dimostrano essenzial­mente due cose: la certezza del­l’impunità, cioè la garanzia di non dover essere chiamati a rispondere delle proprie colpe, e soprattutto il profondo disprezzo per un popolo considerato 'inferiore' e dunque da educare e da sottomettere, se non addirittura da annientare. Tut­to ciò è accaduto con l’assenso, più o meno tacito, dell’opinione pub­blica britannica. In molte occasio­ni soltanto pronunciare la parola 'irlandese' può suscitare risate o essere usata per definire comune­mente comportamenti illogici e in­comprensibili. Ancora oggi si trat­ta di innocue espressioni di ilarità che, spesso inconsapevolmente, so­no il retaggio e il rifugio di secoli di violenza e distruzione.