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Ad Avvenire. Quando Valentina Cortese ringraziava Dio «per quel che mi ha concesso»

Angela Calvini mercoledì 10 luglio 2019

Valentina Cortese a Milano in una delle sue rare apparizioni teatrali degli ultimi anni

«Ho deciso, mi ritiro dalle scene». Quando alzammo il telefono per intervistarla in quel freddo novembre del 2003, Valentina Cortese, l’ultima vera diva del teatro e del cinema italiano, ci spiazzò con un coup de théâtre. Tormentata da una brutta faringite, l'attrice allora ottantenne aveva fatto di tutto per essere in scena al Piccolo Teatro di Milano per interpretare il Magnificat di Alda Merini e la sera dopo L'amore di Giovanni Testori. Si trattava di una delle sue rare apparizioni in pubblico, e lei, da vera perfezionista, non era soddisfatta. Ci rispose gentilissima come sempre, ma molto amareggiata, e nonostante il pesante malessere accettò di rispondere a tutte le domande.
Grazie al cielo poi cambiò idea, e tornò negli anni a fare delle indimenticabili sorprese, come nel settembre 2014 quando a 90 anni apparve al Teatro San Babila per recitare sempre Testori o come quando nel 2018 arrivò a sorpresa, in sedia a rotelle ma lucidissima e ancora affascinante nell’immancabile foulard (questa volta rosa per la cronaca), al Blue Note di Milano dove veniva proiettato in anteprima Diva!, il docufilm sulla sua vita che pochi mesi prima era stato presentato a Venezia, fuori concorso, conquistando una standing ovation e applausi di dieci minuti prima di uscire nelle sale.

Ripubblichiamo l'intervista pubblicata sulle pagine di Avvenire il 18 novembre 2003 con stima e affetto per una autentica signora, prima ancora che per l'inarrivabile attrice: diva a teatro nei capolavori di Giorgio Strehler come Il giardino dei ciliegi di Cechov, Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni e I giganti della montagna di Pirandello e grande protagonista, oltre che per i registi hollywoodiani, per l’amico Franco Zeffirelli (recentemente scomparso) in Fratello sole, sorella luna dove interpretava la madre di San Francesco e Gesù di Nazareth nel ferino ruolo di Erodiade.

Signora Cortese, ha veramente intenzione di ritirarsi dalle scene?

Ma sì, chiudo qui. Sono mortificata di presentarmi al Piccolo che è stata la mia casa con una voce che non è all'altezza. Ho paura di offendere il pubblico e i magnifici versi di Alda Merini e di Testori, che io adoro.

Lei appare raramente in pubblico: ora torna dando voce a Maria per la Merini e ai versi di un credente come Testori. Come mai?

Io sono un po' orso e appaio solo per cose che ritengo importanti. La Merini e Testori qui interpretano due facce della vita. La Merini è una dei poeti che io amo di più, è tutta istinto, passione e mi dà un'emozione inspiegabile interpretarla. All'amore "alto" di cui parla lei, segue l'amore umano, concreto dei versi di Testori. L'ho sempre amato tanto e lui ha scritto per me Erodiade che poi io non ho mai interpretato perché ho tentato l'avventura a Hollywood.

Ma lei crede?

Io sono abbastanza credente, ho avuto solide basi cattoliche nella mia infanzia e forse poi le ho trascurate un po'. Ma credo che su di noi c'è qualcuno che vigila e ringrazio Dio per tutto quello che mi ha concesso.

A partire da una carriera straordinaria. Lei si sente una diva?

Sa cosa mi diceva in milanese Testori? "Tu sei una vera lombarda perché hai succhiato il latte di una contadina". Io per sette anni sono stata a balia in campagna ed ho cominciato nel modo giusto la mia vita, tra gente vera e semplice che mi ha insegnato molto.

Poi, però, giovanissima è diventata una star del cinema dei telefoni bianchi. Come andò?

Nella mia vita, per fortuna, è stato tutto facile. Avevo 16 anni e volevo fare teatro ma i corsi all'Accademia di Roma erano già iniziati. Il direttore ritenendo che avessi talento, mi promise di farmi entrare l'anno dopo direttamente al secondo anno, a patto che avessi studiato. Così nel frattempo andai a Cinecittà: lì c'era il regista Guido Salvini che girava un film con tutti attori di teatro. Venni presa per fare la nipote di Ermete Zacconi. Le battute le ripassavo con l'assistente alla regia: era Orazio Costa.

E la parentesi americana?

Era il '49, avevo avuto delle ottime proposte. Purtroppo però, l'ambiente era pieno di compromessi che io non accettai, così, legata da un contratto capestro, non lavorai per due anni. E quando tornai in Italia dovetti ricominciare tutto daccapo.

Poi però i più grandi registi italiani se la sono contesa sia al cinema sia in teatro.

Ammetto di avere avuto l'enorme fortuna di lavorare con dei grandi: Fellini, Antonioni, Strehler, Visconti, Zeffirelli. Sono vissuta in un bel periodo, oggi purtroppo in Italia mancano i grandi registi. Ma sono i tempi... Il teatro, però, non morirà mai.

Della tv di oggi che ne pensa?

«Non la guardo mai, se potessi andrei tutti i giorni al cinema.

E le attrici? Vede delle eredi?
Ne vedo eccome, è pieno di giovani attrici bravissime. Anche al cinema, ci sono dei giovani attori che mi fanno ben sperare. Perché loro sono il futuro.