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INCONTRO CON ANGELO BRANDUARDI. «Io, tra san Francesco e la musica medievale»

Pierachille Dolfini mercoledì 28 gennaio 2009
Tutto è nato come un gioco. «Vo­levo fare una hit parade della musica medievale» racconta Angelo Branduardi, il cantautore di Cogli la prima mela, che oggi ha fra le mani uno dei progetti più interessan­ti e ambiziosi nel campo della musica classica. Futuro antico è un ciclo di cd che diventano poi concerti nei quali il cantante lombardo si cimenta con partiture antiche insieme ad un grup­po di musicisti che suonano su stru­menti originali. Domani sera al Teatro Malibran di Venezia Futuro antico ar­riva alla quinta tappa. «Un program­ma - racconta il cantautore - tutto de­dicato al periodo d’oro della Serenis­sima, tra Cinque e Seicento quando e­ra ambitissimo il ruolo di maestro di cappella in San Marco e quando i mu­sicisti si cimentavano, senza proble­mi, tanto in sublimi pagine sacre quanto in partiture più leggere». Scusi, Branduardi, ma da dove nasce l’esigenza per un cantautore pop di tornare alle origini? «In Conservatorio, dove mi sono di- plomato in violino, iniziano a farti stu­diare la musica a partire dal Barocco: tutto quello che c’è prima viene igno­rato. Quando mi sono avvicinato a par­titure di epoche precedenti ne sono ri­masto affascinato: mi sono trovato tra le mani un’argenteria sporca e ho de­ciso di pulirla e farla vedere a più gen­te possibile. Sono convinto, poi, che la musica occidentale è morta con Wa­gner: in molti hanno tentato di inven­tarne una nuova senza, però, riuscir­ci. Musicisti come Arvo Part, poi, han­no cercato di fare un passo indietro per farne due avanti. Io mi muovo in questo solco. Qualcuno pensa che ser­va a poco, ma sono convinto che già il fatto di far conoscere questa musica sia importante». Intitolare il progetto «Futuro antico» è una dichiarazione di resa del can­tante pop? «Non parlerei di fallimento. Certo tut­to quello che la musica occidentale - nella quale metto tutto non facendo distinzioni di generi - poteva fare lo ha fatto: tutto quello che si poteva scri­vere in do maggiore è stato scritto. Il passato diventa così una grande ri­sorsa alla quale attingere: ho già in mente molte tappe per Futuro antico, un progetto che potrebbe continuare all’infinito. Alla faccia delle canzonet­te di Sanremo». A proposito, andrebbe al Festival? «Non mi interessa. Ma il mio non è un atteggiamento snob: chi pensa di trar­ne giovamento è giusto che ci vada. Vi­sto il mio carattere di perenne bastian contrario, forse, non è abbastanza con­trocorrente. Quando andare a Sanre­mo sarà anticonformista, magari salirò sul palco dell’Ariston. Per intanto dal 2 febbraio sarò in studio per un nuo­vo disco pop». In stile Branduardi? «Certo: sono nato con questo naso e con questo stile musicale e non ho intenzione di fare la plastica né all’uno né all’altro». Il suo lavoro su San Francesco, che ha segnato una svolta nella sua carriera, ri­schia di diventare il suo più grande suc­cesso e superare cavalli di battaglia co­me «Alla fiera dell’est». Che effetto le fa? «Un effetto strano. Almeno guardan­do i numeri. Lo spettacolo, certo per merito della profondità delle parole che canto, quelle dei Fioretti, ha rag­giunto le 350 repliche. Lo abbiamo portato in tutta Italia, ma siamo stati anche in Germania con il testo tra­dotto in tedesco e in autunno sbar­cheremo in Francia. E poi il disco ven­de ogni mese tra le 1200 e le 1500 co­pie. Cosa incredibile di questi tempi».