Sono una consacrata della Fraternità di suore di Santa Dorotea di Cemmo attiva nella città di Bukavu (Sud-Kivu, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo) per il sostegno alle vittime delle violenze sessuali.Lo stupro dal 1996 (anno della guerra detta «di liberazione» nella Repubblica Democratica del Congo) viene utilizzato come arma da tutte le parti coinvolte nel conflitto per motivi reconditi, tra cui il ripopolamento (epurazione etnica) con i bambini nati dalle violenze, dei quali ci prendiamo cura poiché non sono ben accetti in famiglia. I dati nazionali relativi ai casi di violenza sessuale dovuta alla guerra, forniti dalle strutture che offrono servizi alle vittime, indicano che negli ultimi 5 anni tra le vittime di questi atti barbari sono state assistite quasi 100.000 donne. Sarebbe assurdo limitarsi solo ai numeri senza precisare che dietro a ognuna di quelle cifre c’è una vita e, perché no, un’intera famiglia in situazione difficile o addirittura critica.Da moltissimo tempo l’entità del fenomeno ha superato la soglia di tolleranza; abbiamo qui l’occasione di lanciare un vibrante appello affinché questo nuovo campo di battaglia, che sono i corpi delle donne e delle ragazze congolesi, cessi immediatamente.La nostra Fondazione Padre Simone (Fps) contribuisce con la propria brocca d’acqua allo spegnimento di questo fuoco, che brucia tutta la parte orientale della nazione. Sono state assistite 6021 donne, di cui quasi 700 nuclei familiari sono stati riconciliati; circa 150 donne ripudiate dai mariti sono ospitate nelle strutture della Fps e 125 ragazze madri sono state educate (alfabetizzazione e formazione ad attività che producono reddito). 425 orfani (il più piccolo ha 18 mesi) risultato delle guerre – quasi la metà di loro sono figli di donne stuprate e in seguito uccise – beneficiano di un’assistenza che va dai supplementi nutrizionali alla scolarizzazione. Infine diverse attività di sensibilizzazione della popolazione a ogni livello hanno permesso di attenuare, tra le altre cose, lo choc della stigmatizzazione nel proprio ambiente.Gli
One Stop Center sono l’unica via per giungere a una vera assistenza multisettoriale (assistenza olistica) per le vittime. Qui, in uno spazio predefinito, le donne possono accedere all’intero pacchetto: a seconda del caso, riceveranno assistenza medica, accompagnamento psicosociale, assistenza giuridica, reinserimento socioeconomico e/o scolastico. Ci sforziamo di assicurare il minimo necessario alle vittime di violenze sessuali . Il reinserimento socioeconomico è il bisogno più grande: quando le donne ritornano nei loro ambienti, il soggiorno nei centri dove ricevevano tutto si moltiplica per zero.Alcune donne, rifiutate dai mariti, non fanno altro che girovagare in mancanza di un’occupazione, altre cadono nella prostituzione, altre ancora praticano le unioni libere per sopperire ai bisogni primari. E così si assiste a casi di gravidanze indesiderate, aborti e diffusione di infezioni sessualmente trasmissibili e Hiv. Un’altra sfida è il lavoro a lungo termine per la mediazione familiare: la capacità di accoglienza delle donne rifiutate dai mariti e dalla famiglia ormai è stata ampiamente superata, esse vengono sistemate in case di fortuna costruite dalla Fps.Nel mio Paese istituzioni più forti, insieme con un dialogo sociale sincero che includa la libertà di parola e manifestazioni pacifiche, potrebbero garantire la sicurezza, la pace e la serenità alle donne e alle ragazze e, di conseguenza, lo sviluppo in tutti i suoi aspetti. Finora non c’è stata nessuna riparazione concreta a beneficio delle vittime, nemmeno di quelle che hanno già una sentenza a favore; su questa base proponiamo la costituzione di un fondo nazionale/internazionale per la riparazione, a beneficio delle vittime delle violenze sessuali dovute alla guerra.La mia fonte d’ispirazione nel lavoro che svolgo è multiforme. In effetti c’è una dimensione familiare; o meglio, già quando ero piccola, la gente non cessava di farmi notare che i problemi altrui mi preoccupavano molto. Pertanto ho una sensibilità innata dinanzi alle difficoltà e alle sofferenze dei miei simili. Poi sono stata spronata dalla mia vita cristiana, partendo dal principio del Signore «Quello che hai fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’hai fatto a me» e dall’ispirazione della nostra fondatrice: fare tanto bene ai giovani che ci sono affidati. Mi ha aiutato a comprendere il senso della vita e il valore dell’uomo una grande figura nella fede, padre Simone Vavassori, missionario saveriano; anche in tempi difficili di tumulti e conflitti armati non ha mai esitato un solo istante a rendersi utile, a rischio della vita. Ed è in sua memoria che ho preso la decisione di consacrare la mia vita al servizio delle vittime delle violenze sessuali e delle persone vulnerabili.L’arcivescovo Munzihrwa diceva che sono una sentinella, qui a Bukavu. Il mio impegno per la causa delle donne è nato da un’esperienza che rimarrà in me per tutta la vita. Era un venerdì qualunque, giorno della settimana in cui di solito andavamo (padre Simone e io) a Bunyakiri per preparare la messa della domenica. Nel parco nazionale di Kahuzi-bwega alcuni corpi senza vita giacevano a terra, teste tranciate erano appese agli alberi, c’erano donne i cui organi intimi erano stati amputati. Questa scena ci sconvolse profondamente, ma ci facemmo forza e continuammo il nostro viaggio.Giunti alla parrocchia di Bunyakiri vidi una donna anziana, ultra-ottantacinquenne, che ci veniva incontro avvolta da mosche. L’anziana si rivolse a me con queste parole: «Figlia mia, vieni a vedere che cosa mi hanno fatto». La condussi in disparte e quando si spogliò non riuscii a credere ai miei occhi: era devastata, c’erano mosche e sangue purulento che colava. La poveretta non ricordava nemmeno il numero dei suoi carnefici. Mi sono sentita annientata e umiliata come donna. Questa situazione mi ha fatto uscire dai gangheri e il mio amor proprio di donna è stato ferito per sempre. Due giorni dopo, la povera anziana ci ha lasciati per sempre a causa della mancanza di cure, soprattutto perché quando l’avevamo vista era in uno stadio ormai irrecuperabile.Ecco come ho preso la ferma decisione di consacrare la mia vita e il mio tempo alle vittime delle violenze sessuali e mi sento molto a mio agio quando sto in mezzo a loro. Le persone che vedono ciò che faccio continuano a chiedermi se anch’io in un qualche momento sono stata violentata; la mia risposta è diretta e semplice: il dolore fisico è meno crudele di quello morale. Ciò che ho visto e che continuo a vivere accanto a queste donne, per me è più di una violenza sessuale. Chi di noi resisterebbe a un’esperienza del genere? La pratica delle violenze sessuali va oltre la nostra comprensione, poiché da alcuni essa viene utilizzata come arma da guerra, da altri come un commercio.Per mettere fine a questa tragedia occorre una volontà politica a livello sia internazionale sia nazionale. Noi non facciamo altro che fasciare ferite, cosa che ci tocca ancora di più, dal momento che la fine delle violenze non dipende da noi. Poiché il mondo religioso esercita una leadership morale molto forte, la Chiesa è chiamata a impegnarsi, denunciando tutti i casi alla giustizia. Le organizzazioni non governative devono continuare a esercitare pressioni sulle parti coinvolte nel conflitto, affinché cessi questa barbarie umana.