«La bellezza in quanto tale, da sola, forse non salverà mai il mondo. Ma essa, nonostante la sua intima fragilità, sembra almeno salvaguardare la nostra dignità di umani. Per questo, conviene sempre conservare per le generazioni future delle riserve di ciò che l’incontro con il bello ci ha ispirato». Da un quarto di secolo la riflessione del filosofo francese Jean-Louis Chrétien, nato nel 1952, docente alla Sorbona, già appartenente alla sinistra radicale e convertitosi al cristianesimo in età adulta, sonda il fondo spirituale della condizione umana a partire dalle manifestazioni vitali più elementari: il corpo e i suoi linguaggi, il desiderio di parola e la risposta naturale a una chiamata. Temi che s’intrecciano, con sviluppi imprevedibili, in due sue opere penetranti da poco apparse anche in Italia:
La ferita della bellezza (Marietti) e
Simbolica del corpo. La tradizione cristiana del Cantico dei cantici (Cittadella).
Professore, lei sostiene che la bellezza può atterrire. Cosa intende esattamente?Questa riflessione trae in parte ispirazione da Platone. Se la consideriamo in un senso forte, la bellezza prende sempre nella vita la forma di un’apparizione capace immediatamente di attirare la nostra attenzione, poiché ciò che incontriamo sfugge all’ordinario. Una persona che passa, un riflesso di luce sul paesaggio o un altro fenomeno ci colpiscono e ci raggiungono con la loro dimensione quasi sacra, facendoci paradossalmente sentire subito la loro distanza rispetto a tutto ciò che compone la nostra routine.
Ma si tratta davvero di uno stato prossimo alla paura?Per quanto forse un po’ drammatico, un esempio può risultare illuminante. Si pensi alle forme ricorrenti di violenza contro ciò che si manifesta come bello. La violenza del vandalismo che si scaglia ad esempio contro un quadro, ma anche quella privata o collettiva contro le persone. In certi individui, può sorgere l’impulso di rovinare, profanare, distruggere ciò che al contempo affascina. Proprio perché la bellezza è l’apparizione di un’altra possibilità di esistenza, un’apparizione capace di sconvolgerci in profondità. Non è mai semplice recepirla e accettarla in pieno.
Questo senso di sorpresa nasce anche quando si scorge la bellezza dove non la si attendeva?Proprio così. Sono rimasto personalmente molto commosso dalle testimonianze di alcuni miei lettori che lavorano nel mondo ospedaliero. In particolare, medici o infermieri del reparto grandi ustionati, un luogo subito associato all’orrore. Eppure, queste persone mi hanno raccontato la loro gioia profonda nel veder apparire un sorriso su un volto plasticamente rovinato o distrutto. Ciò illustra bene il fatto che la bellezza non è qualcosa di fisso, ma che essa è prima di tutto un avvenimento. Si può dire lo stesso dei volti solcati da rughe di persone molto anziane, quando di colpo sono illuminate da un’espressione di meraviglia e apertura al mondo. Si pensi poi ai volti che ascoltano con profonda attenzione, in modo appassionato.
Ciò che è bello, direbbero alcuni, è anche raro. È d’accordo?Non proprio, almeno nel senso che la bellezza può manifestarsi dappertutto e divenire parte integrante di ogni nostra giornata. È vero che chi si apre alla cultura può allargare la propria sensibilità verso certe forme del bello. Ma al contempo, non si può certo dire che la bellezza sia inaccessibile per gli altri. Se non saranno forse le opere d’arte a colpire questi ultimi, potrà essere comunque la bellezza di un qualsiasi essere vivente o di un paesaggio. In tutti questi casi, dopo l’impatto iniziale, si può rispondere alla bellezza con un elogio che utilizza la parola o che resta invece silenzioso.
La bellezza può sempre divenire un cammino verso la trascendenza?Non esistono sentieri già tracciati, proprio perché è la bellezza a chiamarci e a venirci incontro. Ma occorre mantenere lo spirito attento, così come gli occhi, le orecchie e ogni altro senso aperti a quest’incontro. In definitiva, occorre rispondere agli appuntamenti che ci vengono offerti, anche quelli con la trascendenza.
Di sensi aperti all’incontro trattano anche le interpretazioni cristiane del Cantico dei cantici. Cosa l’ha spinta a riscoprire questi testi?Si tratta di una tradizione estremamente ricca e oggi troppo poco conosciuta. In tutte queste interpretazioni, l’immagine del corpo umano respira e traspira i significati più diversi. Il
Cantico dei cantici è il libro della Bibbia più attento al corpo umano. E lungo i secoli, le sue innumerevoli interpretazioni hanno dato vita a una sorta di paradosso: i concetti più sottili e spirituali della teologia mistica sono stati espressi proprio attraverso la simbolica del corpo e delle sue singole parti. Luogo per sua natura dove il significato viene al mondo, il corpo è diventato in particolare il cuore del pensiero filosofico e teologico dell’Incarnazione.
Lei ricorda che la Chiesa stessa è stata spesso rappresentata come un corpo umano.Si tratta di una tradizione legata profondamente al Nuovo Testamento e in particolare alla teologia paolina. Questo linguaggio al contempo corporale e mistico è rimasto prevalente fin oltre il Medioevo e ancora presente nel Seicento. Solo con l’avvento della modernità, in corrispondenza anche della distinzione cartesiana fra anima e corpo, una certa diffidenza ha finito per prendere il sopravvento. Designare degli atti interiori con metafore corporali è parso vieppiù strano e talora decisamente inopportuno. Ma la sensibilità odierna, di nuovo attenta ai fenomeni più semplici della condizione umana, potrebbe rivelarsi propizia per una riscoperta della tradizione precedente.