INTERVISTA. Devis Mangia: «Noi giovani mister. Bravi ed esonerati»
Manca già un po’ a questo calcio di uomini sempre sull’orlo di una crisi di nervi, il sorriso scanzonato e la serenità del giovane Devis Mangia da Cernusco sul Naviglio. Sì quel ragazzo dalla classica faccia del compagno di banco di Liceo che durante l’ora di matematica studiava le formazioni sulla Gazzetta, «la prendevo in prestito dal bidello Dino» e che a 35 anni sognava «di allenare una prima squadra». Sogno realizzato a 37 anni, in quel Palermo in cui Mangia ha dovuto fare i conti con il presidente “mangiallenatori” per antonomasia, Maurizio Zamparini. La favola dell’allenatore promosso dalla Primavera rosanero alla prima squadra (al posto di Pioli, alla vigilia della prima di campionato) si è interrotta una settimana dopo che il Mangia aveva mangiato - scusate, ma il gioco di parole è doveroso - il simbolico panettone natalizio. Boccone amaro per un debuttante allo sbaraglio che in 4 mesi di Palermo, in 15 partite aveva conquistato 20 punti, con tanto di record di vittorie casalinghe (al Barbera) in Serie A: 6 di fila.Barbera e champagne, anche perché senza quei 20 punti, adesso Zamparini dovrebbe pensare a una squadra per la Serie B.«Questo lo dite voi... Io so solo che dopo aver battuto l’Inter venivo considerato il nuovo Wenger (tecnico dell’Arsenal, ndr). Dopo la sconfitta con il Cesena, invece ero diventato l’Oronzo Canà di Lino Banfi. Ma questo è il rischio che corre ogni allenatore nel nostro campionato che è fortemente condizionato dal “fattore tempo”».Ci spieghi meglio...«Vuol dire che tra impegni di campionato, di Coppa, giocatori che viaggiano e tornano continuamente dalle nazionali, il tempo a disposizione per allenarli e per cercare di fargli assimilare una tua idea di calcio è sempre troppo risicato. Fattore tempo più risultati, a volte giocano a sfavore anche del miglior tecnico...».
Eppure i risultati, conti alla mano dovevano garantirle il posto. Invece via, con tanto di Zamparini che dopo averlo battezzato come una sua “creatura”, le diede del “presuntuoso”.«Quando me lo dissero telefonai al presidente per chiarire. Ho cercato di spiegargli che se per presunzione si intende assenza di umiltà, beh quella venendo da una famiglia di operai che mi ha educato al lavoro e allo spirito di sacrificio, non potevo accettarlo. Se presuntuoso invece sta per professionista con ambizione, allora mi ci rispecchio, perché sono arrivato in A partendo dai dilettanti e il mio credo è migliorarmi continuamente e possibilmente migliorare chi lavora assieme a me».Con lei sulla panchina del Palermo e poi ora con Stramaccioni all’Inter, pare comunque giunta all’apice la moda dei “tecnici ragazzini”. «Spero che non sia solo una tendenza, ma il frutto di scelte ponderate, anche se poi, vedi il caso Luis Enrique, gli sviluppi dei rapporti con le società spesso dicono il contrario. Il valore aggiunto lo fa sempre la competenza e l’esperienza e non certo la carta d’identità».Giusto. Nella sua decennale esperienza c’è anche un caso analogo al “match di pugilato” Delio Rossi-Ljajic. È vero che quando allenava la Primavera del Varese appese al muro un giovane brasiliano?«È successo anche a me di perdere le staffe, ma eravamo all’inizio del campionato, in una fase di conoscenza. Poi quel ragazzo è diventato il mio migliore alleato all’interno dello spogliatoio. Non giustifico, ma non giudico neppure: quello che è accaduto a Delio Rossi posso assicurare che non è il caso più violento che si sia mai visto... È stata la forza mediatica della diretta tv a renderlo così crudo».D’accordo, ma senza fare i moralisti, non pensa che sia l’ennesimo messaggio negativo del nostro calcio?«Se siamo arrivati a questi livelli con Calcioscommesse, botte in campo, cori razzisti e ultrà che chiedono ai calciatori di togliersi le maglie, vuol dire che si deve ripensare a un cambiamento generale del sistema e a una nuova cultura sportiva che io ho acquisito anche stando fuori dal campo...».Sta dicendo che la sua cultura calcistica nasce lontano dagli stadi?«Umanamente l’anno più formativo per me rimane quello in cui facevo già l’allenatore e contemporaneamente svolgevo il servizio civile con i disabili della Parolina. Turni incredibili e notti passate con questi ragazzi più svantaggiati che mi hanno fatto capire di essere un privilegiato. Da allora non ho mai smesso di dedicarmi agli altri, specie a quelli che non vincono mai, consapevole che il bene va fatto, ma non va detto, altrimenti si rischia di diventare uno dei tanti professionisti del sociale».Tra i professionisti della panchina invece chi ha ammirato quest’anno?«A parte Conte e Allegri, mi è piaciuto chi è entrato in corsa, come Pioli a Bologna e Donadoni a Parma, che hanno fatto benissimo. Montella è molto bravo, ma ha avuto anche la fortuna di allenare un Catania spettacolare e divertente, costruito con estrema sagacia dal ds Lo Monaco».E per il patentino di allenatore (a Palermo allenava con deroga) lei sta studiando?«Sto preparando l’esame di giugno. A Coverciano porterò una tesi che è anche il risultato dei viaggi per aggiornamento che ho fatto all’estero in questi mesi. Ho osservato altre metodologie con estrema attenzione, ma non amo il “copia e incolla”, anche se ritengo che il segreto della crescita di un allenatore stia nella capacità di allargare i propri orizzonti».Dobbiamo aspettarci un Mangia in versione Di Matteo che dopo giugno emigrerà in Premier o in Spagna?«Di Matteo non mi ha stupito per quello che sta facendo al Chelsea, perché anche se al West Bromwich venne esonerato, quella sua squadra giocava benissimo. Io ho ancora un anno di contratto con il Palermo e più che il Paese o la categoria, per me oggi come oggi conta trovare un club che abbia il coraggio di dare tempo per lo sviluppo di un “progetto” e che questo non rimanga una parola virtuale, come vedo che succede in giro...».