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Testimoni. Bindi: come Moro e Bachelet, Mattarella diede la vita per salvare il Paese

Angelo Picariello lunedì 6 gennaio 2025

L'ex ministra Rosy Bindi

Onorevole Rosy Bindi, il film Magma uscito a 45 anni dall'omicidio Mattarella lascia un senso di sgomento. Il paradosso è che uno dei buchi neri più inquietanti della storia della Repubblica riguardi il fratello del capo dello Stato e presidente del Csm.

«È vero, rivivere quella vicenda lascia l’amaro in bocca. Il film ha il pregio di ricomporre un mosaico unitario, collegando tasselli solo in apparenza sparsi. Il quadro che ne emerge, anche se pieno di interrogativi e zone ancora d’ombra, è comunque sufficiente per capire la brutalità dell’attacco condotto alla nostra democrazia. Purtroppo, senza la verità sui mandanti e gli esecutori è difficile anche elaborare una memoria condivisa».

Lei era al fianco di Vittorio Bachelet al momento dell’agguato. Nel film lei lo definisce, al pari di Aldo Moro e Piersanti Mattarella, un martire della Repubblica.

«Fu il cardinale Martini a definire l’assassinio di Vittorio Bachelet “martirio laico”, sottolineando che era stato «ucciso non in ragione della propria fede ma del proprio impegno civile». Sono convinta che lo stesso si debba dire per Aldo Moro e Piersanti Mattarella, uccisi brutalmente perché incarnavano la politica come speranza, come forma esigente di carità, secondo la bella definizione di San Paolo VI. Erano tutti e tre impegnati a ricucire le lacerazioni della società italiana di quegli anni. Moro sul fronte della politica nazionale, con il progetto di democrazia dell’alternanza. Mattarella a Palermo con quella Sicilia dalle carte in regola, in aperta discontinuità nel rapporto con i poteri occulti e criminali. Bachelet per l’equilibrio con cui esercitava il suo ruolo nel Csm, favorendo il dialogo tra magistratura e politica. Tutti uccisi per il loro servizio alla comunità».

Nel film un filone lega questi delitti. Ma Moro e Bachelet sono stati assassinati dalle Br, mentre per Mattarella i sospetti (mai supportati dalla verità processuale) porterebbero al terrorismo neofascista. Il cardinale Pappalardo ai funerali di Mattarella parlò di «forze occulte», escludendo il delitto di “sola mafia”. E lo pensava anche Falcone.

«Falcone aveva un’intelligenza investigativa non comune e conosceva la forza eversiva della mafia. Moro, Mattarella e Bachelet erano uniti da una comune visione di democrazia costituzionale, da un comune progetto di rinnovamento della politica e della società, dalla stessa cultura cattolico democratica che ispirava l’impegno dei laici. Consapevole o no, si verificò una convergenza tra quanti - settori deviati dello Stato, logge deviate della massoneria, terroristi rossi e neri, o come emerso di recente, i Servizi deviati - si opponevano al processo di attuazione della Costituzione avviato in quegli anni».

Si dice, semplificando, che Moro e Mattarella hanno pagato l'accordo con i comunisti.

«Gli anni Settanta furono caratterizzati da una grande spinta al cambiamento. I «tempi nuovi» che Moro aveva intravisto alla fine del ’68 esigevano di rispondere alle domande di maggiore equità e diritti, di pace e di nuova libertà. Ma le resistenze furono enormi. Pesava anche alla collocazione internazionale dell’Italia, sulla frontiera tra Est e Ovest. Moro e Mattarella pagarono certamente il tentativo di superare la conventio ad escludendum che di fatto impediva l’alternanza e l’ingresso del Pci nell’area di governo. Sono convinta che le Br e gli altri gruppi eversivi scelsero le proprie vittime per colpire coloro che nelle istituzioni cercavano di dare un volto nuovo e più giusto alla nostra democrazia. Soprattutto chi come Vittorio Bachelet, persona mite e aperta al dialogo, sapeva ricucire le divisioni e costruire l’unità».

Nel 1973 c’era stato il colpo di stato in Cile. Il Msi si schierò con Pinochet, mentre Moro prese le distanze con chiarezza nonostante le posizioni della Dc cilena. Fu allora che Berlinguer lanciò il compromesso storico e aprì all’Alleanza atlantica, mentre emerse con chiarezza che a destra c'erano forze che spingevano per una soluzione “cilena”.

«In Italia c’erano stati la strage di Piazza Fontana, il tentativo di golpe militare di Valerio Borghese, la strage di Peteano, gli attentati dinamitardi alla questura di Milano e poi alla stazione di Gioia Tauro. Tappe drammatiche di un disegno eversivo, di attacco alle fondamenta democratiche. La Commissione sulla P2 guidata da Tina Anselmi ricostruirà i legami tra i golpisti neofascisti, la loggia segreta di Licio Gelli e le connivenze con la criminalità organizzata di stampo mafioso e i tentativi di ostacolare lo sviluppo democratico. La proposta di compromesso storico avanzata da Berlinguer per impedire una soluzione cilena, troverà una risposta anni dopo grazie alla lungimiranza di Moro che pagherà con la vita il coraggio di proporre una nuova convergenza tra le forze politiche che avevano scritto la Costituzione e fondato l’Italia democratica».

Lei non ama il “perdonismo”. In effetti della bella preghiera dei fedeli di Giovanni Bachelet si ricorda solo il perdono, quando essa era soprattutto un invito alla concordia istituzionale nel filone dell’insegnamento di suo padre.

«Prima del perdono Giovanni Bachelet chiese di pregare per tutti coloro che «con coraggio e con amore» erano «in prima fila nella battaglia per la democrazia». Il figlio chiedeva di non dimenticare da che parte era la giustizia. Il perdono cristiano non significa rimuovere le colpe ma al contrario prendersi la responsabilità del cambiamento».

Il film si chiude con una pietra tombale, in nome del “ne bis in idem”, su una possibile verità processuale in relazione alla pista neofascista come materiale esecutrice del delitto Mattarella. Dobbiamo rassegnarci alla “non verità“?

«Mai rassegnarsi, sarebbe come tradire la speranza. Il dovere di fare giustizia non conosce la prescrizione. Anche se non si arriva alla verità giudiziaria, resta l’impegno a testimoniare il valore di alcune scelte, la verità di chi ha sacrificato la vita per il bene comune».